lunedì 19 aprile 2021

Audition (Ôdishon, 1999) di Takashi Miike

Aoyama è un vedovo di mezza età che soffre la solitudine e, dopo alcuni anni dalla morte delle moglie, si decide a trovare una nuova compagna. Per farlo si affida al suo vecchio amico Yoshigawa, produttore cinematografico, che organizza dei falsi provini per giovani aspiranti attrici, affinché Aoyama possa conoscere ragazze di suo gusto. L'uomo incontra così la bellissima Asami, con cui inizia una relazione e di cui s'innamorerà perdutamente. Ma la giovane, sensuale e dolce nei modi, ha un oscuro segreto di cui Aoyama si accorgerà presto. Takashi Miike è uno dei più prolifici e controversi registi giapponesi, un provocatore inesauribile e impenitente capace di realizzare fino a 4 film all'anno, alternandosi tra pellicole per l'infanzia, prodotti di nicchia per l'home video e horror estremi iper-violenti, molti dei quali sono diventati famosi per le reazioni che hanno provocato nel pubblico in sala (sdegno, repulsione, fuga, svenimenti). Personaggio sui generis, inevitabilmente di culto, per alcuni un genio, per altri un morboso cialtrone, è certamente un regista destinato a dividere e che non lascia indifferenti, suscitando sempre gran clamore intorno al suo personaggio. Ma è sicuramente proprio questo il suo obiettivo, perchè questo bizzarro esteta della violenza e del sadismo, a volte raffinato, altre volte dalla mano pesante, è anche un gran furbacchione, oltre che un regista capace di efferati lampi visionari di perversa fantasia. Audition, tratto dal romanzo omonimo di Ryū Murakami, è uno dei suoi lavori più famosi e celebrati, il film che lo ha definitivamente "sdoganato" in occidente, facendone una "star maledetta" del cinema underground. Non è affatto facile recensire questa pellicola (ma questo vale per tutte le opere dell'autore), per la sua costante sovrapposizione di elementi e di stili in contrasto, con una lunga serie di estremismi violenti e di immagini scioccanti, sempre sul confine tra la morbosità compiaciuta e la crudele astrazione estetica, che intende fornire un affresco tanto potente quanto delirante del lato oscuro della natura umana. Tutto questo rende i film di Miike inevitabilmente "non per tutti", perchè potrebbero turbare i più sensibili rendendo quindi impossibile ogni eventuale approccio di comprensione e, meno che mai, di apprezzamento artistico. Va però anche detto a chiare lettere che l'autore non è certamente un "macellaio" da greve exploitation sanguinaria (come alcuni vaneggiano), ma un artista vero, indubbiamente scomodo e disturbante, ma anche perfettamente coerente e lucido nella sua concezione di cinema weird. O almeno lo è sicuramente nei suoi film migliori. Audition è un horror spietato e triste sulla solitudine, il vero tema dominante dell'opera, ancor più della violenza. Tutto ciò che accade nel film (gli inserti onirici, i momenti grotteschi, le riflessioni malinconiche e il cruento vortice finale di brutalità) avviene in nome della (o in reazione alla) solitudine, un sentimento estremo, talvolta insopportabile, che può produrre comportamenti estremi. L'irragionevole nonsense di certe deviazioni umane, incubi del subconscio, pulsioni primordiali, la forma orripilante di un malessere esistenziale ancora più profondo.
 
La frase: "kiri, kiri, kiri"
 
Voto:
voto: 3,5/5

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