lunedì 26 aprile 2021

Va' e vedi (Idi i smotri, 1985) di Elem Klimov

Bielorussia, 1943, durante l'occupazione nazista. L'adolescente Fljora, per sfuggire alle razzie dell'orda tedesca, che distrussero interi villaggi nella sua zona, massacrando l'intera popolazione civile, si unisce ai combattenti partigiani nascosti nella foresta. I suoi occhi innocenti saranno costretti a vedere atrocità di ogni tipo che lo cambieranno per sempre. Terribile dramma di guerra del russo Elem Klimov, il cui titolo emblematico è tratto da un verso del libro dell'Apocalisse di San Giovanni. La realizzazione del film si è resa possibile grazie al clima favorevole della Perestrojka negli anni '80, ma esso è rimasto lungo "nascosto" in un colpevole oblio. Restaurato magnificamente nel 2017 e presentato per l'occasione al 74-esimo Festival del Cinema di Venezia, ha ottenuto un coro di elogi da parte della critica, un premio ed una rinnovata visibilità. Questo film duro, crudele e importante intende raccontare gli orrori commessi dal nazismo durante la "campagna russa" attraverso gli occhi di un bambino. Un obiettivo alto e arduo, a forte rischio di retorica, di brutalità gratuita o di livore eccessivo. Ma l'autore ci riesce perfettamente attraverso scelte stilistiche forti e pregnanti, con un utilizzo espressivo di campi lunghi e di primissimi piani in alternanza, con una fotografia livida ed emotiva che cerca quasi di contenere l'efferatezza delle immagini, quasi volendo pietosamente alleggerire il peso per il protagonista (e per lo spettatore). L'odissea del piccolo Fljora nel suo viaggio picaresco attraverso il Male è quello dell'innocenza (perduta) di un'intera umanità, annichilita dalla violenza della guerra, da un oscurantismo morale troppo disumano per essere tollerato, ma che merita sempre di essere raccontato, perchè la memoria (anche dolorosa) è l'unico modo che abbiamo per evitare di ricadere negli stessi tragici errori del passato. La memoria è testimonianza, monito, accusa e cordoglio per le vittime, affinché il loro sacrificio non sia stato vano. La macchina da presa è in costante movimento e segue i personaggi quasi braccandoli, le inquadrature avvengono spesso da un'altezza ribassata (la prospettiva di Fljora) e la fitta nebbia della foresta crea un'atmosfera angosciante di irreale sospensione. Questa sospensione, e il relativo senso di spaesamento su dove cercare una via di fuga dall'orrore, è la rappresentazione simbolica della coscienza collettiva delle vittime in quel periodo storico e l'uso sapiente di tecniche cinematografiche per esplicitare le emozioni e il dinamismo delle situazioni, è di altissimo livello estetico. Il groviglio di pulsioni e sentimenti di cui i personaggi sono in balia è dominato dall'odio, dalla voglia ancestrale di rispondere al male con il male e, in questo senso, l'epilogo poetico assume una valenza metaforica di ancor più elevato spessore, che lo rende indimenticabile. Fedele alla grande lezione teorica del cinema sovietico, il regista riprende spesso le masse, che però qui non hanno alcun significato politico ma rappresentano il caos, la disperazione, la morte, come un gregge di agnelli spinti verso il macello da un diabolico aguzzino persecutore. Tantissime le scene memorabili di quest'opera possente e brutale, tra queste vale la pena menzionare almeno il volo radente dell'aereo tedesco che cerca le sue vittime come un glaciale angelo della morte e l'abbraccio nella palude fangosa tra Florian e Glasha, la fusione idealizzata di due corpi in uno, in un gesto follemente disperato  per cercare di "dimenticare" la mostruosità a cui hanno appena assistito. E' un film difficile, ma di grande valore storico e artistico. In Italia non è mai stato distribuito, ma è facilmente reperibile in streaming sulla rete Internet.
 
Voto:
voto: 4/5

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