lunedì 19 aprile 2021

Ichi the Killer (Koroshiya 1, 2001) di Takashi Miike

Gli ambienti della yakuza sono messi a ferro e fuoco da un misterioso killer sanguinario e imbattibile, detto Ichi ("uno" in lingua giapponese), sulle cui tracce si mette lo psicopatico Kakihara, crudele capo di una gang criminale. Ossessionato dalla ricerca di Ichi, con cui infine intende confrontarsi, Kakihara dà origine ad un bagno di sangue, torturando e uccidendo tutti coloro che potrebbero dargli informazioni utili sul suo nemico. Ma non potrà mai immaginare la sorpresa che lo attende. Adattando un manga di Hideo Yamamoto, Takashi Miike (il "bad guy" del cinema nipponico) ha concepito questo film estremo, quasi indefinibile, la summa completa della sua arte sanguinaria e provocatoria. Un film a cui s'addice perfettamente l'avverbio "troppo". Troppo violento, troppo eccessivo, troppo morboso, troppo illogico, troppo stravagante, troppo folle, troppo degenere, troppo prolisso, troppo disgustoso. Ma anche: girato con maestria, esteticamente sopraffino, genialmente assurdo, perfidamente divertente, metaforicamente urticante, un autentico guanto di sfida al cinema del nuovo millennio. Nel suo esaltato delirio "ludico" di sangue, sesso, sadomasochismo e morte, ondeggia impudentemente tra il fumetto, il videogioco, l'iconoclastia del gangster movie, la commedia nera, il kitsch supponente, il grand guignol surreale, lo sberleffo indisponente. C'è indubbiamente del genio visivo in questo film di ardua catalogazione e valutazione, come c'è anche cattivo gusto, misoginia, sadismo, tracotanza, ma tutto volutamente portato fino ai limiti del parossismo, tendendo così alla furba autogiustificazione ontologica, e, quindi, inducendo nello spettatore un effetto di strana saturazione. Bersagliato dalle censure di mezzo mondo, ha definitivamente eletto il regista (per sua immensa gioia) come "mostro" del cinema contemporaneo. Questo dissennato horror "mutante" (o mutazione dell'horror che dir si voglia) ha, in egual misura, legioni di fan che lo esaltano come capolavoro incompreso e schiere di detrattori che lo riducono a baracconata disgustosa. Personalmente, allontanandomi dal manicheismo della semplice scelta "lascia o prendi", ritengo più giusto restare nel mezzo, sottolineandone pregi e difetti, e riconoscendone l'indubbia natura di prodotto ostico di nicchia: riservato a cultori, coraggiosi o cinefili "navigati". Assolutamente da evitare per chi non tollera la violenza o i film "fuori di testa".
 
Voto:
voto: 3,5/5

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