Una numerosa famiglia inglese vive in India, sulle sponde del Gange. Una delle figlie, la giovanissima Harriet, ha stretto un forte legame con due coetanee, Valeria (europea) e Melania (indiana), con le quali condivide sogni, vagheggiamenti ed i tipici turbamenti adolescenziali. L'arrivo di un giovane capitano dell'esercito, profondamente scosso da una grave mutilazione subita in guerra, provoca una tempesta ormonale nelle tre ragazze, che s'innamorano dell'uomo e fanno di tutto per attirarne l'attenzione. Un giorno l'uomo andrà via e le fiamme dell'ardore che hanno scosso le tre amiche si spegneranno gradatamente, seguendo il ritmo lento e immutabile con cui fluisce il grande fiume, scandendo il tempo della vita. Il primo film a colori di Renoir è una solenne favola esotica, intrisa di magia lirica, spiritualismo orientale e idolatria naturalistica, che esalta lo stato di grazia della giovinezza ed il rapporto tra uomo e natura. Opera cruciale nella carriera dell'autore (segnò il suo ritorno in Europa dopo il periodo americano), è un "film-cerchio" (come detto da Truffaut) che si apre e si chiude sull'immagine del fiume (simbolo spirituale e filosofico di una civiltà millenaria e lontanissima dalla nostra) e che mira a purificare il nostro sguardo dalle attrazioni materialistiche, per rivolgerlo verso il senso mistico delle cose, un senso di cui la cultura indiana è fortemente impregnata. L'India di Renoir è un'idea, un sogno, panteistica, metafisica e senza tempo, sospesa nell'immaginario collettivo nella sua maestosa eternità immutabile. Ma, al tempo stesso, il grande regista riesce anche ad immergerci nella sacralità della sua natura, facendocene avvertire il soffio immateriale, i colori lussureggianti, gli odori pregnanti, la saggezza antica. E tutto questo ben prima che la "moda indiana" esplodesse in occidente, facendo diventare il paese asiatico meta abusata di viaggi, miraggi, libri, film, canzoni, fotografie e sogni ad occhi aperti. Alla sua uscita il film non fu capito, nè particolarmente amato dalla critica (l'accusa più comune era quella di essere un semi-documentario liricheggiante), eppure esso (pur nella sua natura originale e nel suo linguaggio etereo) è denso dei contrasti tipici del cinema di Renoir (arte-vita, cultura-natura, ideale-reale). Il Festival di Venezia lo omaggiò con il Premio Internazionale, quasi a voler riparare lo "scippo" di 14 anni prima, in cui La grande illusione si vide soffiare il riconoscimento più ambito da Carnet di ballo di Julien Duvivier.
La frase: "A ogni cosa che vi capita, a ogni persona per voi importante che incontrate, o morite un po', oppure rinascete"
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