martedì 27 aprile 2021

Il posto (1961) di Ermanno Olmi

Domenico Cantoni, giovane provinciale dell'hinterland milanese, di umili origini e grandi speranze, arriva nel capoluogo lombardo per trovare un posto di lavoro in una grande azienda. Ai test d'assunzione conosce Antonietta e se ne innamora. I due verranno entrambi assunti, ma l'impatto con il mondo del lavoro non sarà esattamente come avevano immaginato. Il secondo lungometraggio di Ermanno Olmi è uno straordinario ritratto in chiaroscuro dell'Italia del boom economico, un'opera che racconta, attraverso una storia semplice, i cambiamenti epocali di una società ormai definitivamente fuori dagli incubi recenti (la guerra, la fame) e proiettata con grande entusiasmo verso un nuovo modello di vita (quello che Pasolini avrebbe definito "piccolo-borghese"). Attraverso gli occhi intristiti del suo protagonista (un bravissimo Sandro Panseri, da molti esageratamente definito come un piccolo Buster Keaton padano), il regista ci racconta il clima di quell'epoca, fornendocene un'istantanea accurata e potente, senza alcuna vena acre o accento polemico, ma con tono lieve, pacato, malinconico, perfettamente accordato con il personaggio di Cantoni (simbolo dell'italiano medio dei primi anni '60), sebbene sia già visibile una sottile vena di amaro disincanto. Olmi si è ispirato alle sue vicende personali giovanili (l'assunzione in Edisonvolta) per raccontare di quest'Italia ingenua e pudica, carica di aspettative, eccitata e smarrita di fronte ai rapidi cambiamenti di costume, ai fermenti culturali, all'avvento del consumismo, al sogno del benessere economico di massa. Un momento storico in cui le campagne erano un luogo da cui fuggire, in cui Milano voleva dire lavoro (il "posto" del titolo) e l'ideale di felicità preconfezionato era dato dal trittico casa-famiglia-utilitaria. Ma l'autore sottintende che tutto questo ha un lato oscuro, un prezzo da pagare e lo possiamo leggere negli occhi tristi di Domenico Cantoni dopo il suo contatto con un ambiente impiegatizio squallido, desolato, avvilente, in cui si possono già intuire quei segnali di disumano abbrutimento e di scarsità di prospettive che saranno poi grottescamente parodiati, 15 anni dopo, da Paolo Villaggio e Luciano Salce nei primi film della saga di "Fantozzi". Emblematica la scena finale della festa di Capodanno, in cui il protagonista è "costretto" a fingere una felicità che non prova, esplicitando così il contrasto tra ideale e reale ed i primi inequivocabili segni di quella crisi esistenziale che autori come Antonioni, Fellini, Bergman avevano già magnificamente esplicitato nei loro capolavori. A riprova che, spesso, l'arte è preveggente e anticipa la vita, perchè riesce a leggerne in anticipo gli umori, le tendenze, i venti di cambiamento. Questo piccolo grande film rivelò al mondo il grande talento di Ermanno Olmi e fu insignito del Premio della Critica al Festival di Venezia. Il celeberrimo critico cinematografico Tullio Kezich fa una piccola parte nella pellicola , nel ruolo di uno degli esaminatori al test d'ammissione.

Voto:
voto: 4,5/5

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