martedì 9 maggio 2017

Interiors (Interiors, 1978) di Woody Allen

La vita di una famiglia benestante viene sconvolta dalla decisione del padre Arthur, maturo avvocato che ha sempre dato prova di collaudata affidabilità, di lasciare sua moglie Eve, depressa e mentalmente instabile. La donna tenta il suicidio ma viene salvata appena in tempo dalle sue tre figlie (Renata, Joey e Flyn), fin da subito in ansia per la sua condizione di evidente fragilità psichica. Quando Arthur, una volta ottenuto il divorzio, decide di risposarsi per le quattro donne sarà il colpo di grazia definitivo. Cupo dramma familiare di Allen, palesemente bergmaniano nei toni autunnali e nella tormentata tensione psicologica che riflette, con lucida amarezza e solenne rigore, sulla difficoltà delle persone (pur legate da stretti rapporti di parentela) di stabilire un reale contatto empatico con gli altri e, non di meno, con sé stessi. E’ un film ostico per la sua radicale severità formale e per la sua asciutta densità espressiva che, alla sua uscita, spiazzò pubblico e critica per l’inatteso mutamento di registro narrativo da parte dell’autore. E’, quindi, un film di “prime volte”: prima volta di Allen alla prese con un progetto totalmente drammatico e prima volta in cui Allen non compare come attore in un suo lavoro. L’abisso interiore del modello di famiglia borghese americana viene tratteggiato in un crudele gioco geometrico di ipnotica deformazione in cui gli spazi scenici si accavallano alle ossessioni psicotiche, ai desideri inconfessabili, ai tabù inconsci (come le ansie edipiche o le voracità sessuali). Non a caso diversi critici hanno sottolineato più di una connessione anche con il cinema di Polanski o con gli scritti di Čechov. L’intensa drammaticità della pellicola viene esasperata dalla totale assenza di musiche, immergendo il tutto in una dimensione ovattata di raggelante suggestione simbolica. E’ un’opera cruciale nella carriera di Allen, che rivelò l’inaspettata versatilità dell’autore, confermandone la granitica cultura cinematografica e la perfida ironia caustica che, in questo caso, non disdegna graffi allo snobismo di quell’alta borghesia newyorkese che lui conosce alla perfezione. Nel cast segnaliamo Diane Keaton, Mary Beth Hurt, Geraldine Page, Richard Jordan, E.G. Marshall e Maureen Stapleton.L’opera ebbe cinque candidature agli Oscar 1979 ma non vinse alcuna statuetta. Questo film lacerato e lacerante è tra i più alti e sorprendenti risultati ottenuti da Woody Allen nella sua già straordinaria filmografia degli anni ’70.

Voto:
voto: 4,5/5

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