Nel
2035 la terra è un luogo spettrale e desolato popolato da animali, con i
superstiti del genere umano costretti a vivere in luoghi sotterranei a causa di
un terribile virus che, nel 1996, ha sterminato cinque miliardi di persone.
Alcuni scienziati, che hanno trovato il modo di viaggiare nel tempo, cercano di
mandare James Cole, un ergastolano molto dotato intellettualmente, nel fatidico
anno in cui ebbe inizio l'orrenda epidemia, per cercare di scoprire le cause
del morbo. Dopo alcuni tentativi falliti Cole arriva nel periodo giusto e si
mette sulle tracce di un sedicente gruppo sovversivo ecologista, che si firma come
“esercito delle 12 scimmie”, che dovrebbe essere responsabile dello spargimento
del virus per un insano progetto rivoluzionario: liberare definitivamente il
pianeta dal cancro che lo sta distruggendo, l’uomo. Aiutato dalla dottoressa Railly,
esperta in malattie mentali, Cole deve compiere una disperata lotta contro il
tempo per cercare di cambiare il corso di un destino a lui già noto. Intanto le
sue indagini lo portano a sospettare dello stravagante Jeffrey Goines: giovane
disturbato, figlio di un ricco magnate, affetto da disturbi psichici e con un’autentica
ossessione per la ribellione al sistema. Bizzarro tentativo (in buona parte
riuscito) di coniugare la fantascienza distopica apocalittica, il cinema d’autore,
il thriller d’azione e il blockbuster
hollywoodiano a cui questo opus
numero 8 di Terry Gilliam inevitabilmente appartiene. Liberamente ispirato al
cortometraggio sperimentale francese La
jetée (che è un capolavoro), è un film diviso tra la sua anima mainstream e le sue ambizioni di apologo
filosofico moraleggiante sul potere autodistruttivo dell’umanità, oltre che
sull’ineluttabilità del destino. Un po’ sgangherato sul piano narrativo, si
avvale di una confezione tecnica di prim’ordine, di una fotografia grigia che gli
conferisce una tetra fascinazione, di alcune brillanti invenzioni visive
tipiche dell’estroso regista di Minneapolis e di un cast eccellente (Bruce
Willis, Brad Pitt, Madeleine Stowe, Frank Gorshin, Christopher Plummer, David
Morse, Lisa Gay Hamilton), in cui svetta Pitt per esasperato trasformismo. La
sensazione di un lavoro “su commissione” c’è tutta, ma, tra tocchi grotteschi,
inserti surreali, trovate spettacolari e momenti di puro patos, il film
garantisce comunque un gradevole intrattenimento e va collocato sopra la media
dei suoi simili. Ha avuto due nomination agli Oscar 1996 (Brad Pitt e i costumi
di Julie Weiss), ma non ha portato a casa nessun premio. Gli amanti dei
paradossi temporali e delle pellicole apocalittiche sicuramente apprezzeranno.
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