San Francisco, 1958. La pittrice Margaret Ulbrich viva da sola con la sua figlioletta, dopo essere fuggita da un matrimonio asfissiante che non sopportava più. La donna ha un discreto talento ed è specializzata nel ritrarre bambini che lei rappresenta sempre con gli occhi grandi, ma non riesce ad emergere in un panorama artistico chiuso, inflazionato e maschilista, carico di pregiudizi nei confronti dell'altro sesso. Sposa in seconde nozze lo scaltro Water Keane, un aspirante pittore con poche idee ma con una buona favella, molto abile ad auto-promuoversi e convincere il prossimo. Water spaccia i quadri della moglie per suoi e, di colpo, le opere ottengono un incredibile successo. Lui diventa ricco e famoso, mentre lei si accontenta di rimanere nell'ombra come pittrice "fantasma". Ma dopo alcuni anni Margaret si stanca della situazione e decide di reagire. Dramma biografico di Tim Burton, ispirato alla vera storia di Margaret Keane, uno dei più clamorosi casi di truffa artistica che fece un enorme rumore grazie all'opinione pubblica americana. Il regista è un sincero ammiratore delle opere dell'artista, oltre che suo amico, ed è probabilmente questa la motivazione principale per cui ha deciso di girare questo film, che è molto elegante ma poco burtoniano, quasi una sorta di "vacanza" rispetto al suo stile gotico visionario. La fotografia dai colori accesi, che richiamano la tecnica pittorica a pastello, e la suggestiva ricostruzione d'epoca della California di fine anni '50, ci immergono in un mondo luminoso e nostalgico, in cui stavolta i "diversi" tanto cari al regista sono raffigurati su tela, sono i tanti soggetti tutti simili delle opere della Keane, con quegli occhioni enormi che trasmettono un misto di stranezza e tenerezza. Le buone interpretazioni del cast (in cui citiamo Amy Adams, Christoph Waltz, Krysten Ritter, Danny Huston, Terence Stamp, Jason Schwartzman) confermano la bravura del regista nel dirigere gli attori e metterli a proprio agio, lasciando a ciascuno lo spazio necessario per esprimere la propria sensibilità espressiva. Il vero intento dell'autore è, però, quello di esaltare una coraggiosa vicenda di emancipazione femminile (di cui Margaret Keane fu una precorritrice, alla vigilia dell'avvento del femminismo) e di tratteggiare una critica velata al mito del Sogno Americano e all'ideale preconfezionato di "vincente", spesso fondato sull'inganno, sulla rapacità, sulla furbizia, sulla capacità di rubare il talento altrui utilizzando mezzi sleali e "doti" che non hanno nulla a che vedere con il merito. Ma, complessivamente, è un film un po' troppo esile, più manieristico che pungente, più patinato che incisivo. Come già detto prima, una "vacanza" di Tim Burton da sè stesso. Ma anche da quegli stilemi che ce lo hanno fatto amare.
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