Nell'ottobre del 1942, durante la campagna d'Africa, ad El Alamein, a circa 100 chilometri da Alessandria d'Egitto, in una insidiosa depressione desertica, le truppe italo-tedesche dell'Asse subiscono una totale disfatta contro gli inglesi del generale Montgomery. Questo fu uno degli episodi che, analogamente alla battaglia di Stalingrado, segnò l'inizio dell'inversione di tendenza negli eventi della seconda guerra mondiale, fino a quel momento ad esclusivo appannaggio dei nazisti che avevano sbaragliato tutti gli avversari con apparente facilità. Questo realistico dramma bellico, scritto e diretto da Enzo Monteleone, racconta la cronaca di una sconfitta dolorosa e di una battaglia combattuta strenuamente, e con onore, contro un nemico più organizzato e soverchiante nei numeri. La racconta "dal basso", ovvero dal punto di vista di alcuni soldati italiani della divisione Pavia: il sergente Rizzo, il tenente Fiore, il soldato Spagna e il soldato Serra, volontario partito per l'Africa carico di entusiasmi e convinto di ottenere sul campo una vittoria facile. Tenendo fuori fuoco la politica e la grande Storia, eliminando ogni forma di retorica eroica e patriottarda, o, di contro, antimilitarista, il regista sceglie una prospettiva umana ed una linea narrativa fatta di storie semplici, di ideali spezzati, di delusioni profonde, di amaro disincanto, di ferite esteriori e interiori, di fame e di sete, di caldo e di sudore, di contadini, operai o studenti universitari sradicati dalla propria casa e gettati a morire nell'inferno del deserto. E senza dimenticare, ovviamente, le grandi battaglie, gli scontri corpo a corpo, i bombardamenti aerei ed i carri armati, il sangue e la morte. Efficace nella gestione dei toni e nel perfetto dosaggio tra dramma, sequenze belliche e momenti meditativi, questo film importante e necessario si avvale delle vigorose interpretazioni di Paolo Briguglia e Pierfrancesco Favino, seguiti a ruota da Luciano Scarpa, Emilio Solfrizzi e Sergio Albelli. Le scene dell'epilogo, con la ritirata nel deserto dei superstiti e le lapidi recanti la scritta "Ignoto", sono potenti, toccanti, memorabili; per la loro forza evocativa provocano un misto di dolore, rabbia, indignazione ed un senso di sconfinata compassione per le giovani vittime cadute in nome della delirante follia della guerra. A voler proprio trovare un difetto in quest'opera di indubbio spessore civile, morale e storico, si può imputare all'autore un abuso di spiegazioni didascaliche e di dialoghi chiarificatori. Sarebbe stato molto meglio, più cinematografico e più suggestivo, lasciar parlare unicamente le immagini, i volti dei personaggi, gli sguardi atterriti, la sabbia del deserto, gli scenari d'Africa, il fragore delle battaglie, le ferite sanguinanti, gli occhi del terrore e della disperazione. E quell'irraggiungibile linea d'orizzonte che si staglia nel "mare" sabbioso e che si fa metafora della speranza del ritorno a casa.
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