lunedì 11 ottobre 2021

Synecdoche, New York (2008) di Charlie Kaufman

Un regista teatrale ipocondriaco e pieno di manie, Caden Cotard, si dibatte tra problemi sentimentali, ansie esistenziali, slanci creativi e la paura della morte che sempre lo accompagna. Mentre prepara un ambizioso spettacolo per mettere in scena la sua stessa vita in un enorme spazio chiuso in cui ha ricostruito i suoi luoghi abituali, gli eventi intorno a lui continuano a complicarsi: la moglie lo lascia e vola via in Germania insieme alla figlia piccola e ad una donna sua ipotetica amante, lui cerca consolazione nella bella Hazel ma la storia dura ben poco e la sua psicanalista lo trascura, impegnata nella scrittura di un libro. Mentre la vita di Caden va in pezzi, lo spettacolo cresce sempre di più, perchè lui lo alimenta costantemente con ciò che gli accade realmente. Fino a quando il livello della realtà e quello della finzione iniziano a confondersi. L'atteso esordio registico di Charlie Kaufman, già eccellente e apprezzato sceneggiatore, è un complesso psico-dramma labirintico pirandelliano che cerca di essere un compendio dei suoi temi e delle sue nevrosi, già sviscerati ampiamente nelle precedenti opere da lui firmate come writer (Essere John Malkovich, Confessioni di una mente pericolosa, Il ladro di orchidee, Se mi lasci ti cancello). Tra queste tematiche ricordiamo il concetto relativo di identità, la malattia di vivere, il senso di inidoneità nei rapporti personali, la psicologia, il rapporto simbiotico tra arte e vita. Concepito come un viaggio introspettivo a più livelli percettivi-narrativi (di sicuro sono due, forse tre, ma probabilmente sono quattro), il film si fonda sul concetto di sineddoche, ovvero quella figura retorica che scambia due termini relazionati tra di loro, ad esempio prendendo la parte per indicare il tutto o,  viceversa, il tutto per riferirsi alla parte. Pur nella sua affascinante macchinosità intuitiva, dovrebbe essere "chiaro" come questa specie di metonimia concettuale si sposi perfettamente allo stile cervellotico di Kaufman, consentendogli di sbizzarrirsi a piacimento in questa sua opera prima nel perseguimento di una identificazione in continuo slittamento tra la vita vera (di Caden Cotard) e la sua opera teatrale nella falsa città ricostruita in studio. E questo "gioco" di scatole cinesi può essere ovviamente esteso, per induzione, anche al film contenitore di cui stiamo parlando e al contesto reale in cui "risiede" Kaufman (i livelli 3 e 4 accennati prima). C'è addirittura che ha voluto vedercene un quinto (esagerando), alludendo al possibile ruolo "attivo" della morte che incombe al di sopra di ogni cosa. E' quasi inutile sottolineare come tutto risulti troppo esasperato, enfatizzato e manieristico fino al delirio auto-compiaciuto, un eccesso di vanità intellettuale che pesa troppo anche per uno come Kaufman. La netta sensazione, in una pellicola che ha comunque i suoi pregi e i suoi momenti notevoli (a cominciare dalle interpretazioni degli attori), è che il nostro abbia voluto decisamente strafare, in preda all'ansia prestazionale dell'esordio in cabina di regia. Il grande cast annovera Philip Seymour Hoffman, Michelle Williams, Samantha Morton, Jennifer Jason Leigh, Catherine Keener, Emily Watson, Hope Davis e Tom Noonan. Tutti impeccabili nei rispettivi ruoli. Il film, inevitabilmente di nicchia e consigliabile solo agli appassionati dell'autore o agli amanti degli arzigogoli tortuosi, è rimasto praticamente sconosciuto in Italia, salvo poi essere sdoganato e distribuito nel tardo 2014 in seguito alla tragica morte del grande (e compianto) Philip Seymour Hoffman.
 
Voto:
voto: 3/5

Nessun commento:

Posta un commento