lunedì 11 ottobre 2021

Dogtooth (Kynodontas, 2009) di Yorgos Lanthimos

I genitori di una benestante famiglia greca mantengono da sempre i loro tre figli ormai grandi (un maschio e due femmine), in un regime di severo isolamento dal mondo esterno all'interno della loro lussuosa villa, dotata di parco, piscina e mura di recinzione, da cui i ragazzi non sono mai usciti. L'uomo è un industriale dispotico e sua moglie una donna di casa a lui totalmente asservita. I figli sono stati educati attraverso un cumulo di menzogne filtrate o inventate dalla rigida censura paterna, con parole e concetti cambiati di significato, una visione favolistica del mondo, la creazione di convincimenti modellati all'uopo per la situazione (come quello di una terribile minaccia mortale esterna che gli impedisce di varcare la soglia del cancello della villa fino a che non saranno "pronti" come il capofamiglia) e un'educazione che li stimola costantemente all'attività fisica e alla competizione tra loro, attraverso uno strano sistema di sfide e di premi. L'unico contatto tra i giovani e il mondo esterno è Christina, una ragazza che lavora alle dipendenze del padre e che, dietro compenso, si reca periodicamente nella villa per soddisfare i bisogni sessuali del figlio maschio. Allegorico dramma surreale scritto e diretto da Yorgos Lanthimos, è un film potente e disturbante che si erge a solenne metafora teorica sul condizionamento psicologico, sull'educazione repressiva, sulla manipolazione delle coscienze, sul collettivo "lavaggio del cervello" tipico dei sistemi totalitari, di cui l'autore greco intende analizzare con precisione i meccanismi e le dinamiche allo scopo di svelarne l'assurdo e la debolezza intrinseca. Con una messa in scena distaccata e straniante volta a creare il massimo disagio nello spettatore (basti pensare all'insistenza sui dettagli tenendo spesso fuori campo i volti dei personaggi), uno stile oscillante tra il grottesco, il respingente e il tragico, ed una crudele ironia nera che talvolta ci soccorre nell'immersione in questo universo mostruosamente paradossale, il regista realizza una lucida critica dei meccanismi persuasivi del potere autarchico e oligarchico, comprendendone ogni forma nella sua feroce critica dimostrativa: quello politico, quello dei regimi dittatoriali, quello di classe sociale e quello patriarcale. Il buon cinefilo non potrà fare a meno di notare i numerosi richiami (estetici, filosofici e contenutistici) a svariati elementi tipici del cinema di Pasolini, Haneke e Buñuel, così come è palese l'intenzione dell'autore di mettere alla berlina le tirannidi, la borghesia e l'istituzione familiare (che è quasi sempre la base su cui si fonda un processo di manipolazione che arriva dall'alto) allo scopo di fornire uno scossone ideologico alla coscienza politicamente abulica del suo paese (ma la sua critica può essere tranquillamente intesa in maniera universale e archetipale, non a caso tutti i personaggi del film, a parte quello di Christina, non hanno un nome proprio). Tenendo costantemente al di fuori il mito e il sacro, Lanthimos costruisce un apparato simbolico sconcertante e stupefacente per rappresentare questa cupa allegoria dell'Ipse dixit, in cui non mancano i momenti di umorismo macabro: gli zombie fiori, la vagina lampada, il telefono sale, gli aerei che cadono in giardino, il nonno che canta con la voice di Sinatra, i gatti predatori assassini, la "morte" del quarto fratello uscito all'esterno, il dente canino, fino all'elemento perturbante portato dal cinema (americano) con i vari Rocky, Lo squalo e Flashdance gustosamente citati. E poi ovviamente la costante metafora dei cani (evocata fin dal titolo) che da sempre nell'immaginario collettivo costituiscono un simbolo di fedeltà al padrone, oggetto tipico di addestramento e quindi di asservimento. Invece la sua nemesi (il gatto) è un animale tipicamente autonomo, indipendente, egoista e quindi viene eletto a simbolo di male supremo e di pericolosa minaccia. L'opera è stata premiata al Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard e candidata agli Oscar 2011 come miglior film in lingua straniera. In Italia è rimasto inedito per oltre 10 anni, salvo poi essere distribuito (a sorpresa e in numero ridotto di copie) nell'agosto 2020, probabilmente a causa della maggiore notorietà internazionale acquisita da Lanthimos dopo i premi e i consensi plebiscitari del suo La favorita (The Favourite, 2018).

Voto:
voto: 4/5

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