martedì 19 ottobre 2021

E la chiamano estate (2012) di Paolo Franchi

Dino e Anna si amano profondamente, ma non riescono ad avere rapporti sessuali perchè lui è un uomo intimamente disturbato: segnato dal suicidio del fratello e dall'abbandono di sua madre, Dino riesce a vivere il sesso solo in maniera "randagia" e trasgressiva, con prostitute o con scambiste occasionali incontrate in locali a luci rosse, ma non è capace di collegarlo al sentimento e, quindi, può concedere alla sua donna soltanto una relazione platonica. Sempre più frustrato e perduto nell'eros proibito, a cui si abbandona con voluttuosa rabbia compulsiva, Dino si sente in colpa per Anna e cerca di spingerla a trovarsi un amante in grado di soddisfarla dal punto di vista fisico. Di fronte alla sua riluttanza, Dino contatta gli ex della donna per convincerli ad avere rapporti sessuali con lei. Melodramma erotico di Paolo Franchi, dai contenuti forti e dallo stile algido, con una fotografia ultra patinata ed un ritmo soporifero, silenzi snervanti intervallati da continue sequenze a base di sesso e di nudità. Film scandalo annunciato del Festival Internazionale di Roma, dove ha vinto (tra una valanga di fischi) due premi pesanti (miglior regia e migliore attrice protagonista a Isabella Ferrari), è un turgido dramma di psicopatologia sessuale sul conflitto tra erotismo e sentimento, una tematica già affrontata molte volte da cinema e letteratura. E guarda caso proprio l'anno prima era uscito Shame (2011) di Steve McQueen, che affronta questioni simili ma in maniera ben più ricercata e inquietante. "E non c'è sesso senza amore" cantava Antonello Venditti in una sua famosa canzone; Paolo Franchi rinnega tale tesi (invero molto banale) con quest'opera pretenziosa e inconsistente, anemica e abulica, con dialoghi di sconcertante banalità che cadono sovente nel ridicolo, uno stile manieristico di ingessata freddezza ed un tono che conosce soltanto due estremi: inerzia tediosa o accumulo di libido, senza nessuna sfumatura intermedia. Ma la sensualità, l'erotismo raffinato, la provocazione mordace e l'eccitazione mentale (che sono ben altra cosa) risultano non pervenute. Il regista lombardo si cimenta in un "gioco" più grande di lui: conciliare i modi ostici del cinema d'autore con dei contenuti "scandalosi", ma i risultati sono davvero maldestri e la greve seriosità dell'opera non aiuta di certo l'indulgenza del giudizio. La Ferrari è intensa e audace, con estrema naturalezza si mette a nudo (in tutti i sensi) per cercare l'anima del suo personaggio e ne riesce a rendere degnamente il tormento, sia per il desiderio inappagato sia per la delusione nei confronti del suo uomo, che la fa sentire una "magnifica preda" senza cacciatore. Se c'è qualcosa da salvare in questo film flebile è sicuramente la brava attrice piacentina. Il titolo è tratto dalla famosa canzone omonima di Bruno Martino.
 
Voto:
voto: 1,5/5

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