Durante una rievocazione storica in costume un uomo cade da cavallo, batte la testa e perde il senno. L'incidente è provocato accidentalmente da Belcredi, suo amico e rivale in amore, poiché entrambi sono fortemente innamorati della bella Matilde. Come conseguenza del colpo subito, l'uomo impazzisce e si convince di essere il personaggio che stava interpretando, l'imperatore del Sacro Romano Impero Enrico IV di Germania, si rinchiude in un castello insieme a dei falsi servitori che lo assecondano e, con l'aiuto economico della sorella, continua a viverci comportandosi come l'antico sovrano medioevale. Vent'anni dopo nulla è cambiato, Enrico IV è sempre chiuso nella sua pazzia e porta avanti i suoi rituali, come quello della penitenza annuale per ricevere il perdono dal papa Gregorio VII che lo aveva scomunicato, con la compiacenza di amici e familiari che ne reggono la recita, credendo in questo modo di aiutarlo. Belcredi e Matilde (che Enrico IV ormai identifica con il personaggio storico di Matilde di Canossa) si recano a trovarlo insieme ad uno psichiatra, per sperimentare una terapia estrema basata su un forte shock e cercare, in questo modo, di far tornare la memoria al falso Enrico IV. Ma una incredibile sorpresa li attende. Poderoso dramma psicologico di Marco Bellocchio, da lui scritto insieme a Tonino Guerra, liberamente ispirato alla tragedia omonima di Luigi Pirandello. Molto fedele al testo pirandelliano nella prima parte, il film se ne discosta maggiormente nella seconda, attuando modifiche, modernizzazioni e processi di snellimento, pur mantenendo del tutto integro lo spirito originale e l'essenza del dramma. Bellocchio si "appropria" con piglio creativo della prosa del geniale autore siciliano per parlare di tematiche che lo hanno sempre interessato e che sono presenti in diverse opere della sua filmografia: la follia, ovvero il confine (sottile e spesso indefinibile) tra concetti come normalità ed anormalità, e, partendo da questi, un'affascinante disamina sulla separazione tra realtà e finzione, vita e arte, persona e personaggio, il tutto calato in un labirintico gioco di specchi e di scatole cinesi. La versione di Bellocchio è meno cupa (ma non meno inquietante) dell'originale pirandelliano, anche grazie alle interpretazioni degli attori, tra cui vanno citati gli ottimi Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Leopoldo Trieste e Paolo Bonacelli. In particolare Mastroianni fornisce una caratterizzazione meno angosciante e più sensibile del personaggio di Enrico IV, puntando sulla disarmata fragilità e sulla beffa giocosa piuttosto che sulla tragica pazzia. L'epilogo, paradossale, straniante e pungente, rimane un memorabile esempio di allegoria pirandelliana sull'effimera nozione di normalità.
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