venerdì 15 aprile 2016

Al di là della vita (Bringing Out the Dead, 1999) di Martin Scorsese

Frank Pierce è un paramedico che trascorre le sue notti su un’ambulanza per soccorrere i tanti bisognosi nelle pericolose strade di New York. Insieme ai suoi colleghi è ormai abituato allo “spettacolo” della morte e del dolore, ma, dopo il decesso per overdose di una giovane donna (che gli muore letteralmente tra le mani), il nostro entra in una profonda crisi esistenziale. Stanco ed angosciato, Frank intraprende un percorso autodistruttivo tra alcool, allucinazioni e tentativi di “fuga” dalla sua tragica realtà. Perseguitato dai fantasmi di tutti i pazienti che non è riuscito a salvare, l’uomo sceglie infine di abbandonarsi totalmente al suo calvario, alla ricerca di una catarsi. Cupo dramma ansiogeno di Scorsese, che riprende le atmosfere malsane di Taxi Driver (le sporche strade della “grande mela” raffigurate come un inferno metropolitano) e le distorsioni grottesche di Fuori Orario, ma vi aggiunge un surplus allucinato da delirio lisergico, scandito dalla voice over del protagonista, da una messa in scena con forti contrasti cromatici che virano nel rosso sangue, da immagini e visioni disturbanti e dal profondo senso di disperato degrado che trasuda dalle sequenze e dai personaggi, meschini relitti di un’umanità allo sbando. I toni sono costantemente sopra le righe, esagitati come il protagonista, ben interpretato da uno spiritato Nicolas Cage, probabilmente nella migliore interpretazione della sua carriera, ma le figure di contorno appaiono troppo esasperate, sfociando a volte nel caricaturale. In particolare i tre colleghi di Frank, che si alternano in sua compagnia nella tre giorni in cui si svolge il film: il caustico Larry, l’esaltato Marcus e il morboso Tom, che si esalta alla vista del sangue. Ispirato al romanzo “Pronto soccorso” di Joe Connelly (che ha prestato servizio come autista di ambulanze per un decennio), il film segna il ritorno della collaborazione (la quarta e ultima) tra Scorsese e lo sceneggiatore Paul Schrader. Fedele all’eterno tema religioso del rapporto tra colpa e redenzione, uno dei cardini della filmografia dell’autore italoamericano, è una palese metafora cristologica su un doloroso percorso di passione, una via crucis attraverso le anime disperate e maledette di quel crogiolo di razze, di vizi e di pulsioni che è New York City, la sua città “dannata”, simbolo della decadenza occidentale, amata e odiata, perenne riferimento di tutta la sua estetica. Il travaglio espiativo di Frank termina tra le braccia di una moderna Maddalena (che, guarda caso, si chiama Mary), dove avrà luogo la sua “resurrezione” laica, attraverso un chiaro riferimento alla Pietà michelangiolesca, sempre con l’ombra angosciosa della morte a fare da testimone. E’ un film oscuro e visionario, sofferto e definitivo, quasi una sorta di commiato dell’autore dalla sua città, a cui poi tornerà nuovamente, tre anni dopo, con Gangs of New York, solo per esplorarne le radici mitografiche, la matrice ancestrale di quella violenza che ne insanguina le strade, rendendola un simulacro dell’umana corruzione. Oltre al già citato Cage completano il cast Ving Rhames, John Goodman, Tom Sizemore e Patricia Arquette.

Voto:
voto: 4/5

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