giovedì 7 aprile 2016

Il giardino dei Finzi Contini (Il giardino dei Finzi Contini, 1970) di Vittorio De Sica

Nella Ferrara degli anni ’30 vivono i Finzi Contini, un’antica e nobile famiglia di ebrei aristocratici, i cui splendidi rampolli, Micol e Alberto, trascorrono le giornate tra partite a tennis, agi, spensieratezze e pruriti amorosi nello splendido giardino della loro grande villa. Insieme a loro c’è la bella gioventù della borghesia ferrarese, tra cui Giorgio, da sempre innamorato della bella Micol, e il comunista milanese Giampiero, che ha con lei una tresca segreta. Ma su tutti loro incombe l’ombra dell’antisemitismo nazifascista, delle leggi razziali ormai in atto e della guerra che presto sconvolgerà il mondo. Tratto dal romanzo omonimo di Giorgio Bassani, è l’ultimo film importante di Vittorio De Sica, premiato con l’Oscar al miglior film straniero (il quarto per il grande regista laziale). De Sica, inizialmente preoccupato per la separazione professionale dal fedele sceneggiatore Zavattini (che qui venne sostituito da Ugo Pirro), apportò diversi cambiamenti rispetto al testo ispiratore e ciò provocò lo sdegno di Bassani che chiese di essere cancellato dai crediti della pellicola. Le principali modifiche riguardano il personaggio di Giorgio (che nel film rimpiazza l’io narrante del libro, visto che la vicenda è narrata dal suo punto di vista), la relazione tra Micol e Giampiero (che nel romanzo non viene mai palesata) ed il finale (che fu il motivo principale della controversia tra scrittore e regista). La messa in scena è ovattata e crepuscolare, la ricostruzione storica è un po’ debole e la pellicola indulge spesso nel kitsch o nel sentimentale, con punte didascaliche nella descrizione dei rapporti tra i personaggi. Ma l’opera, che riscosse un grande successo internazionale, ha anche i suoi indubbi meriti, soprattutto nella felice scelta di non mostrare mai chiaramente l’Olocausto, i nazisti, le deportazioni e tutti quegli elementi visivi che inconsciamente associamo ai film di questo tipo, pur facendocene avvertire costantemente la minacciosa incombenza. E’ altresì encomiabile la perfetta rievocazione di quel clima di indolente passività in cui versava l’alta borghesia ebraica dell’Italia settentrionale, profondamente legata alle idee liberali del periodo prefascista ed ingenuamente incredula rispetto alla possibilità di una persecuzione ai suoi danni. I giovani protagonisti appaiono come creature angelicate, fragili, viziate, quasi stolte nel loro inebetito candore, rispetto a ciò che stava accadendo al di là del muro di cinta del loro giardino incantato. In questo film di illusioni, di separazioni e di sogni infranti, l’irruzione della Storia, in tutto il suo traumatico realismo, nell’Eden dove i protagonisti hanno cullato la loro vanità giovanile, avrà la forza di un castigo assoluto, di un contrappasso tragico, dopo il quale niente sarà più come prima. Nel ricco cast che vede la presenza di Lino Capolicchio, Helmut Berger, Fabio Testi e Romolo Valli, spicca la francese Dominique Sanda, bella e brava, nel ruolo centrale di Micol. Lo stupendo giardino che si vede nel film è in realtà Villa Ada, a Roma.

Voto:
voto: 3,5/5

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