giovedì 7 aprile 2016

Il generale Della Rovere (Il generale Della Rovere, 1959) di Roberto Rossellini

Milano 1943: il truffatore Bardone, che campa di espedienti, viene arrestato dalle SS tedesche con l’accusa di avere incassato illegalmente somme di denaro dai parenti dei prigionieri fucilati dall’invasore germanico. Durante l’interrogatorio l’ufficiale nazista che lo accusa si rende conto della sua grande abilità e decide di usarlo per i suoi scopi. Per salvarsi dalle accuse Bardone accetta di collaborare con il nemico e finge di essere il generale Della Rovere, mandato dal governo Badoglio. Nel suo nuovo ruolo si reca al carcere di San Vittore per raccogliere le confidenze dei partigiani prigionieri, in modo da passare preziose informazioni al comando tedesco sui piani dei rivoltosi. L’uomo si calerà a tal punto nella parte di grande eroe della Resistenza italiana da diventarlo per davvero. Tratto da un racconto di Indro Montanelli, è uno dei film più famosi di Rossellini, che vede il suo ritorno alle tematiche inerenti alla seconda guerra mondiale. Vinse il Leone d’Oro al Festival del Cinema di Venezia, ex aequo con La grande guerra di Monicelli, ed ebbe un grande successo di pubblico, ma divise la critica e fu anche duramente contestato per la sua visione della Resistenza come “conversione al bene e al sacrificio di sé”. Dal punto di vista tecnico è un film impeccabile, con tecniche di ripresa innovative, ricordato da molti anche perché fu il primo film italiano in cui venne utilizzato lo zoom. Va comunque detto chiaramente che è uno dei film meno originali e più semplici del grande Maestro italiano, nettamente inferiore rispetto ai suoi grandi capolavori che hanno segnato la storia del cinema. La prima parte, una commedia dai risvolti drammatici molto agile e concisa, è la migliore. Nella seconda si scivola decisamente nella retorica sentimentale, con un finale tragico (e non molto credibile) che cerca l’enfasi melodrammatica nel modo più spudorato. La vera forza del film sta nella straordinaria interpretazione di Vittorio De Sica, in un esercizio di temperato istrionismo, che incantò e commosse il pubblico con la sua carica umana fiera e dolente. De Sica, che come attore si era sempre cimentato in ruoli brillanti, leggeri e goliardici, aveva molto timore di interpretare questo personaggio così intenso e drammatico, che nel corso della pellicola subisce anche una profonda trasformazione interiore (da cialtrone a martire). Ma in questo suo primo ruolo “serio” come attore, egli ci ha saputo offrire una prova maestosa, con classe e malinconia, probabilmente la migliore in assoluto della sua carriera. E parte del merito va di certo attribuito anche alla mano esperta di Rossellini regista. Al di là di ogni giudizio storico, politico ed artistico sul film, bisogna riconoscere che è comunque un evento fantastico veder lavorare insieme due grandi Maestri del Neorealismo italiano ed è emblematico che ciò sia avvenuto in una pellicola che tratta di un tema da sempre controverso, come quello della Resistenza al nazifascismo.

Voto:
voto: 3,5/5

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