giovedì 7 aprile 2016

I cannibali (I cannibali, 1970) di Liliana Cavani

Le strade di una grande città (Milano) sono piene di cadaveri. Sono i corpi di giovani ribelli caduti durante gli scontri con il braccio armato del vigente regime totalitario, che ne impedisce persino il seppellimento affinché fungano da macabro monito per eventuali dissidenti. La gente cammina indifferente attraverso le salme riverse sull’asfalto in uno scenario da incubo urbano. L’unica che si oppone è la giovane borghese Antigone, che intende concedere una giusta sepoltura al fratello, contro il parere dei familiari. Le darà aiuto Tiresia, uno straniero che parla una lingua ignota e che disegna sui muri della città. La loro ribellione sarà duramente punita ma farà da esempio per gli altri. Cruda distopia onirica della Cavani, che trae ispirazione dall’Antigone di Sofocle trasponendolo idealmente (pur nella sua evidente mitizzazione astorica) nel clima politico del suo tempo, la Milano del così detto “autunno caldo”, scossa dagli scontri di piazza, dalle contestazioni sociali, dalle rivolte giovanili, dagli estremismi politici, dalla lotta eversiva e da quel clima da guerra civile che poi porterà ai sanguinosi “anni di piombo”. La matrice colta conferisce all’opera un affascinante alone mitico, denso di simboli archetipi che assumono un significato universale: la ribellione contro ogni forma di dittatura in nome della libertà individuale. La messa in scena è agghiacciante nella sua visionaria brutalità: sarà difficile dimenticare la panoramica delle strade deserte di Milano cosparse di cadaveri. Immagini forti per suscitare emozioni forti, in un clima sociale esagitato in cui molti auspicavano un ritorno alla destra estrema per fronteggiare la minaccia terroristica. Più che un film politico è un film passionale, anarchico, indignato, qua e là ridondante nel suo manicheismo “a tesi”, ma anche ricolmo di pietosa umanità nei confronti delle vittime. Questa allegoria della contestazione estremizza, brechtianamente, il contrasto tra l’individuo e lo Stato, tra la morale e la legge, tra pubblico e privato, sottolineando l’impossibile comunicazione tra i due emisferi divergenti. Per quanto la distorsione onirica attuata dall’autrice collochi la vicenda in una dimensione priva di precisi riferimenti storici e temporali, le analogie con la situazione italiana di quegli anni sono evidenti, al punto che molti hanno parlato di “mitologia realistica”, di un paradigma sociopolitico che, pur svolgendosi fuori dalla storia, la compenetra attraverso i suoi emblemi pregnanti. I cannibali a cui allude il titolo sono i giovani che si ribellano ai dogmi precostituiti e che ambiscono a riconquistare la vera natura dell’uomo, quella purezza primitiva e sentimentalmente istintiva che è stata cancellata da anni di norme repressive. Questo spirito fortemente utopistico, figlio degli ideali sessantottini, contrasta fortemente con la tragica crudezza delle immagini e con il finale amaro. Ed è grazie a questo stridente dissidio che la regista intende scuotere le coscienze degli spettatori per abbattere il muro dell’indifferenza collettiva, alimentando il disgusto verso gli atteggiamenti dispotici. Nel cast segnaliamo Tomas Milian, Pierre Clémenti, Britt Ekland, Francesco Leonetti e molti hanno spesso parlato di una comparsata, mai accreditata, dell’anarchico Pietro Valpreda, che sarà poi coinvolto nelle indagini per la strage di piazza Fontana. Suggestive e stranianti le musiche di Ennio Morricone.

Voto:
voto: 4/5

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