In un futuro imprecisato la terra si
trova in una nuova era glaciale e i pochi sopravvissuti vivono in città
sotterranee per difendersi dal freddo. In una di queste città arriva il
cacciatore Essex, che scopre l’esistenza del “Quintet”, un gioco da tavolo
praticato dai vertici aristocratici della popolazione locale. Il gioco prevede
l’eliminazione fisica dei perdenti da parte del vincitore, che ha potere
assoluto di vita e di morte su di loro. Questo crudele rituale di sopraffazione
sembra essere l’unico motivo di emozione rimasto in una popolazione abbrutita
dal gelo e dall’isolamento, e divenuta sterile a causa del meccanismo
riproduttivo della clonazione. Essex, incuriosito ed eccitato, decide di
partecipare al gioco. Spiazzante film di Robert Altman, astratto e ipnotico, sotto
forma di distopia fantastica che riflette sul senso estremo della vita,
inscenando uno spettrale ultimo atto di un’umanità degradata ai confini del
mondo. E’ un film freddo, glaciale come le sue ambientazioni, profondamente
intellettuale nella sua assenza asettica di emozioni, un meccanismo spietato e
geometrico come il gioco che gli dà il titolo. Alla sua uscita non fu compreso
dai critici, che lo detestarono, bollandolo come un incomprensibile pistolotto
fantascientifico con vaghe ambizioni di apologo morale. In realtà è un’opera
complessa, sperimentale e stratificata, una riflessione originale sul “mors tua vita mea”, costruita attraverso
un affascinante schematismo rituale (il gioco, il pentagono, i sermoni, gli
assiomi matematici, la ricorrenza del numero 5). L’autore parlò apertamente di “fiaba
rinascimentale”, alludendo alle analogie con i Borgia, e richiamò nel cast il
nostro Vittorio Gassman per affidargli un personaggio teatrale che parla per
aforismi aulici. Completano il ricco cast Paul Newman, Fernando Rey, Bibi
Andersson e Brigitte Fossey. E’ un film appartato e silente, interamente girato
in uno dei padiglioni abbandonati dopo i giochi olimpici di Montreal ’76, che
si pone esattamente all’antitesi rispetto al precedente film: l’affollato, colorito
e chiassoso, Un matrimonio. Il
labirinto allegorico sotteso alla narrazione è, a volte, un po’ manierato nel
suo surreale pessimismo apocalittico, ma la fantasia visionaria dell’opera è
fervida e la sua mistica occulta possiede un indubbio fascino simbolico, che la
rende difficile da dimenticare. Altman, che nella vita era un giocatore
accanito, ci regala un’inquietante e originale visione del futuro, in cui il
gioco è diventato l’elemento centrale per una élite di disperati visionari. Per essi il gioco è un surrogato
della vita e anche un’evocazione della morte (una metafora altisonante che
suonerà sicuramente familiare ai giocatori d’azzardo). Se ci si abbandona senza
inibizioni al suo flusso diabolico, questo sottovalutato film del maestro
americano può riservare parecchie piacevoli sorprese. Da riscoprire.
Voto:
Nessun commento:
Posta un commento