mercoledì 27 aprile 2016

Manderlay (Manderlay, 2005) di Lars von Trier

Secondo capitolo, dopo Dogville, della trilogia americana di Lars von Trier sugli USA, terra delle opportunità, ancora in attesa del terzo e conclusivo episodio. Grace abbandona le montagne rocciose e giunge nella cittadina di Manderlay, in Alabama, dove i neri sono tenuti in schiavitù dai ricchi bianchi proprietari terrieri. Grazie ai gangster della banda di suo padre la donna decide di utilizzare la forza per imporre la democrazia nella piccola comunità, cercando di ottenere la convivenza “pacifica” tra razze diverse. Ma alla fine dovrà rinunciare al suo progetto, dopo aver scoperto che la libertà imposta non è vera libertà e che la comunità di colore, non abituata all’indipendenza, non è capace di vivere senza un padrone. Provocatorio, scorretto e graffiante apologo sullo schiavismo del geniale autore danese che, sebbene ambientato negli anni della grande depressione, intende parlarci della politica estera contemporanea americana, ovvero della guerra in Iraq di cui l’intero film è un’acida metafora. Il patetico tentativo di Grace di imporre il proprio concetto di democrazia con l’uso della forza corrisponde esattamente a quanto fatto dagli USA in medio oriente, utilizzando la scusante della minaccia terroristica e delle armi di distruzione di massa. Il regista prosegue dunque il suo oscuro viaggio nella cattiva coscienza dell’America, mettendone alla berlina il “Sogno” e svelandone la cinica natura rapace, fondata sul profitto e sulla prevaricazione a danno dei più deboli. La pellicola ha la medesima struttura del film precedente con la narrazione articolata in otto capitoli, l’utilizzo di scenografie minimali (spesso disegnate sul pavimento di un set chiuso che fa da ambiente contenitore) e la macchina da presa a spalla secondo i canoni del “Dogma”. Ma se Dogville è essenzialmente una parabola filosofico-antropologica, questo secondo film possiede uno spiccato taglio politico, facilmente estendibile a cupo racconto allegorico sul potere e le sue pratiche. E come nel primo capitolo anche qui l’evidente gioco di finzione scenica, volutamente esibito (per scopi stranianti) tramite l’artificio scenografico, viene arditamente ribaltato dalla ricca galleria di immagini reali che scorrono sui potenti titoli di coda, che consolidano e stratificano il senso beffardo dell’opera. Ancora una volta l’implacabile ma lucido teorema messo in atto dall’autore appare come un supremo atto di accusa nei confronti della nazione simbolo del capitalismo, un atto d’accusa non privo di quell’enfasi provocatoria tipica di von Trier. Il meccanismo ideologico alla base del film è perfetto e geometrico ma chiaro fin dall’inizio e, quindi, prevedibile. Ed è questo il solo “peccato originale” di un film splendido e complesso, ma meno geniale, meno viscerale e meno universale rispetto al suo predecessore. Il grande cast vede la sostituzione dei due attori principali: con Bryce Dallas Howard al posto di Nicole Kidman (che uscì così provata dall’esperienza di Dogville che non volle più saperne di lavorare con von Trier) e Willem Dafoe al posto di James Caan, a cui si affiancano Lauren Bacall, Udo Kier, Danny Glover, Isaach De Bankolé e Chloë Sevigny (molti dei quali ritornano in altri ruoli rispetto al capitolo precedente). E aspettando Washington, ovvero la terza parte della sua trilogia americana, von Trier ci consegna un altro memorabile tassello della sua graffiante epopea brechtiana sugli USA, un cupo viaggio attraverso i vizi, le ipocrisie e le meschinità di un paese paradossalmente vittima della sua stessa grandezza, in cui la “grazia” (Grace) è pronta a restituire tutti i colpi che subisce, pur di non soccombere. L’occhio per occhio, matrice ancestrale della cultura americana, è dunque il perno su cui si fonda il suo sbandierato senso religioso nazionale. Retaggio della vecchia frontiera e fautore di un imperialismo mascherato da garantismo. Ed è esattamente questo che ci dice quel “ragazzaccio” di Lars von Trier. Forte e chiaro, e senza sconti.

Voto:
voto: 4/5

Nessun commento:

Posta un commento