mercoledì 6 aprile 2016

Un'altra giovinezza (Youth Without Youth, 2007) di Francis Ford Coppola

Bucarest, 1938: Dominic Matei, anziano docente di linguistica, è tormentato dal ricordo di Laura, la donna da lui amata morta di parto in gioventù. Stanco della vita e deciso a suicidarsi tramite iniezione letale, viene colpito da un fulmine davanti alla stazione della sua città, nel giorno di Pasqua. La scarica elettrica provoca un miracoloso ringiovanimento nell’uomo, regalandogli una seconda vita ed accrescendone le facoltà fisiche e mentali. Per sfuggire ai nazisti, che intendono studiarlo, si rifugia in Svizzera, dove incontra la bella Veronica che, per molti aspetti, gli ricorda l’amata Laura, di cui sembra l’incarnazione. I due iniziano a viaggiare insieme per il mondo, ma la donna pare avere precoci segni di invecchiamento. Ispirato al romanzo omonimo del rumeno Mircea Eliade, questo piccolo film indipendente di Coppola, girato in meno di tre mesi, è un ambizioso pastiche di thriller, melodramma, cinema politico, noir fantastico e riflessione filosofica, che, partendo dall’ammissione della finitezza umana, va alla ricerca delle radici del linguaggio cinematografico. In questa fiaba metafisica, che gioca di continuo con il tempo, il regista, proprio come il suo protagonista Dominic Matei, ossessionato dallo studio linguistico, si pone analogamente a un filologo che intende recuperare le forme essenziali dei codici cinematografici, rinnovandone le immagini e le strutture visive con un’operazione che si rivolge ai pionieri dell’epoca classica, a quel geniale “artigianato” che rese grande la settima arte. E’ indubbiamente un’opera personale, intima, un’elegia ipnotica sospesa tra magia e scienza, anticommerciale per vocazione e pervasa da evidenti suggestioni autobiografiche. Ancora dotato di forte esuberanza sperimentale, nonostante l’età matura, il Maestro italoamericano sceglie di realizzare un film spiazzante, paradossale, che mira a modificare la struttura diegetica amalgamando elementi letterari ad elementi filmici e caricando le immagini di simbolismi romanzeschi, geroglifici del pensiero, come un libro le cui pagine vengono fatte scorrere in rapida sequenza, dando vita ad un flusso di forme in movimento. Come tutti i grandi visionari Coppola cerca di andare sempre oltre il limite, oltre se stesso, oltre i suoi capolavori e non rinuncia mai a rischiare. Questo film astratto ne è la conferma, una parafrasi del ritorno che piega i flussi temporali in funzione della forma cinema, tra iperboli e simbolismi, metempsicosi e distorsioni della coscienza, provocando un senso di vertigine nello spettatore. Non tutto funziona a dovere in questa surreale esplorazione rapsodica delle stagioni del vivere umano, ad esempio alcuni momenti suscitano un senso di ridicolo involontario ed esiste una chiara differenza di peso specifico tra la sua sperimentale ricerca semantica e la sua effettiva densità narrativa. La sensazione è quella di trovarsi di fronte ad un disperato atto d’amore nei confronti del cinema, un passionale suicidio, un po’ goffo e un po’ sublime. Se e quanto questo film, passato in sordina, riuscirà nell’alto intento di aggiornare il vocabolario del cinema saranno i posteri a dirlo, intanto noi ci godiamo il ritorno di Coppola e del suo sguardo sempre originale, mai banale, perennemente alla ricerca di un “tempo altro” in cui soddisfare il proprio ego creativo. Nel cast segnaliamo Tim Roth, Bruno Ganz, Alexandra Maria Lara, André Hennicke ed un piccolo cameo di Matt Damon.

Voto:
voto: 3,5/5

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