Il giovane marinaio Bennie, alla vigilia
della maggiore età, parte per Buenos Aires alla ricerca di suo fratello
maggiore, Angelo detto “Tetro”, un tormentato scrittore quarantenne di origine
italiana che ha fatto perdere le sue tracce da circa dieci anni per sfuggire
alla tirannide del padre, dispotico direttore d’orchestra. Tetro adesso vive in
Argentina insieme alla bella Miranda, e scrive testi teatrali cercando invano
l’approvazione di Alone, la più importante critica letteraria del paese.
L’incontro tra i due fratelli sarà intenso e conflittuale, Bennie si rende
conto che il tempo ha cambiato tante cose e che Angelo è molto diverso
dall’uomo che lui ha sempre mitizzato nei suoi ricordi di adolescente, ma
cercherà in tutti i modi di recuperare il rapporto con lui. Splendido film
indipendente di Coppola, un intenso dramma intimo girato in bianco e nero,
attraverso il digitale in alta definizione, e denso di elementi autobiografici
ricollegabili alla vera vita del regista. Autore anche di soggetto e
sceneggiatura, Coppola torna a parlarci di famiglia con questo potente
melodramma onirico strutturato a scatole cinesi, pervaso da emotività barocche
e confezionato con un elegante minimalismo sperimentale. In questa severa
tragedia familiare l’autore guarda dentro se stesso, rilegge la sua vita e la
sua storia confondendo abilmente finzione e realtà, rappresentazione e
trasfigurazione, rimescolando le figure e le emozioni in un suggestivo gioco di
specchi (Brandauer interpreta sia il padre Carlo che il fratello Alfie), perché
“niente è accaduto ma tutto è vero”.
Con la spudoratezza di un esordiente, il Maestro italoamericano riflette
sull’illusione della felicità, sull’impossibile normalità dei rapporti umani,
sul dolore che è parte integrante della nostra vita, modificando continuamente
il registro narrativo dal romantico al grottesco, dal surreale al tragico, e sintetizzando
la sua visione del cinema con l’autorità di un demiurgo di emozioni creative. Guardando,
come sempre, al melodramma classico, posto alle radici della sua formazione
artistica, Coppola realizza anche un sontuoso omaggio alla settima arte,
citando a ripetizione se stesso e i registi di cui è innamorato (da Michael
Powell a Elia Kazan). Nei continui salti temporali del film, molti dei quali a
colori, egli dà sfogo al suo geniale manierismo estetico, ricostruendo i
conflitti tra Tetro e il padre (l’origine del dramma alla base dell’intera
vicenda), attraverso stupende immagini di musica e di danza, accentuando così
il paradossale sfasamento tra vero e fittizio. Fondendo analisi e psicanalisi
con lucida sensibilità, l’autore sembra voler esorcizzare i suoi stessi demoni
familiari legati al peso della sua carismatica e ingombrante figura: il padre di
Tetro afferma che “in ogni famiglia c'è
posto per un solo genio” e, quindi, chi arriva dopo non può far altro che accontentarsi
di vivere nella sua ombra. C’è, quindi, tutto se stesso in questo film summa di assoluta perfezione formale, in
questo labirinto onirico di esperienze e suggestioni, simbolicamente raffinato,
di lacerante limpidezza e con un rigoroso senso della misura, che denota il
raggiungimento del controllo assoluto sulla materia cinema. E questo Tetro (stendiamo pure un velo pietoso
sul titolo italiano) è esattamente questo: puro cinema, vita deformata
nell’arte in un gioco di riflessi, un meraviglioso teatro di figure imperfette
in cui Coppola, ormai autore totale, rimette in gioco se stesso in un tripudio melodrammatico
“bigger than life”. Nel notevole cast
figurano Vincent Gallo, Maribel Verdú, Alden Ehrenreich, Klaus Maria Brandauer
e Carmen Maura, tutti bravissimi. Memorabile ed emblematica la sequenza
prologo, con il primo piano di Tetro che osserva la falena sbattere contro la luce.
Grande cinema e grande Coppola, che conferma di essere il più importante
regista americano vivente.
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