A Milano, alle 16.37 del 12 dicembre
1969, una bomba nascosta in una valigetta, collegata ad un congegno a tempo,
viene fatta esplodere all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura di
piazza Fontana. I locali della filiale vengono devastati dall’esplosione e,
alla fine, si conteranno 17 morti e 88 feriti, vittime innocenti immolate
sull’altare della follia terroristica. Il commissario Luigi Calabresi segue la
pista anarchica e pone in stato di fermo due figure di spicco di quegli
ambienti: Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda. Il primo, ferroviere non
violento, viene sottoposto a un durissimo interrogatorio durante il quale muore
in circostanze misteriose, precipitando da una finestra della Questura
milanese. Messo sotto accusa e abbandonato dai dirigenti, Calabresi prosegue la
sua difficile indagine interessandosi alla matrice neofascista ma sarà ucciso
nel 1972, in
un agguato sotto la sua abitazione, dai militanti estremisti di “Lotta
continua”. Marco Tullio Giordana prosegue il suo lucido percorso di denuncia
civile con il suo cinema socialmente impegnato, portando sul grande schermo uno
dei momenti più oscuri della storia italiana del ‘900: la strage di piazza
Fontana, l’evento che per molti ha segnato l’inizio della strategia della
tensione e dei sanguinosi “anni di piombo”, in cui il terrorismo eversivo, di
destra o di sinistra, si è macchiato di crimini orrendi lasciando sul campo centinaia
di caduti nell’arco di circa dodici anni. La ricostruzione storico ambientale
messa in atto dal regista milanese è straordinaria, con l’efficace rievocazione
visiva di quella Milano anni ‘70 in clima da guerra civile. La messa in scena è
volutamente algida per garantire il dovuto distacco emotivo e gli eventi sono
raccontati con minuzioso dettaglio, cercando di ridurre al minimo le licenze
romanzate. Il film coinvolge e convince, muovendosi sul delicato equilibrio tra
il rigore della cronaca e la retorica della finzione e le interpretazioni del
cast (Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Michela Cescon, Laura Chiatti,
Fabrizio Gifuni) sono notevoli, con una menzione speciale per un intenso Favino
nel ruolo dell’anarchico Pinelli. L’autore sembra quasi ispirarsi al celebre
articolo “Io so” (scritto da Pasolini
sulle colonne del Corriere della Sera) nel tratteggiare questo affresco cupo e
sobrio, pudico e rigoroso, ricco di zone d’ombra e di momenti di forte impatto
emotivo. Un film importante e maturo, da vedere anche solo come memoria
storica. Obbligatorio per i più giovani che queste storie le hanno solo sentite
raccontare.
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