domenica 10 aprile 2016

Morte a Venezia (Death in Venice, 1971) di Luchino Visconti

Il musicista Gustav von Aschenbach è un uomo raffinato, logoro nel fisico, malato di cuore e ossessionato dalla ricerca della bellezza ideale, che crede di trovare nel giovane efebico Tadzio, conosciuto sul lido di un hotel veneziano. Innamoratosi perdutamente del ragazzo, il compositore entra in una profonda crisi interiore e cerca dapprima di ringiovanire il suo aspetto. Alla fine decide di dedicarsi alla riverente contemplazione silenziosa del suo amato, fino a morirne, tutto solo davanti al mare, su una sedia a sdraio del Lido di Venezia. Sontuoso adattamento viscontiano del celebre romanzo omonimo di Thomas Mann, trasposto dall’autore in modo libero, adattandolo alla sua estetica e alla sua personalità. Il risultato è una meravigliosa elegia proustiana sulla ricerca disperata della bellezza, pervasa da un malinconico senso di morte, da un decadentismo aristocratico di elitaria astrazione e densa di rimandi alla vita e alle esperienze del grande Maestro milanese. Sofferto come un requiem ma tracimante di altissima poesia nei suoi momenti più ispirati, condensa l’estetizzazione decorativa del suo regista in sequenze di magistrale potenza visionaria, come quella dell’entrata nel salone dell’albergo, i cui spazi si “aprono” con un respiro lirico che svela l’intero ambiente in pochi solenni movimenti. Nel suo ritmo ovattato e nel suo incedere mesto contiene molte scene di assoluto silenzio e, tra queste, ci sono alcuni dei momenti più alti del cinema di Visconti. Alla sua uscita suscitò polemiche in Italia per l’esplicitazione della tematica omosessuale (molto più sfumata nel romanzo) ed anche perché accusato di aver stravolto lo spirito del testo di Mann. E’ invece un capolavoro solenne e compiuto, una riflessione struggente sulla sabbia del tempo che scorre inesorabile e sfugge dalle dita, nonché una summa di tutta la poetica viscontiana. In questo splendido mondo antico popolato da fantasmi del passato, o da figure diafane belle come angeli della morte, la contemplazione diventa un atto eroico, un gesto estremo per volar via attaccato alla coda della bellezza, fugace ma in grado di riempire gli attimi di una vita con il suo afflato. Le note sinfoniche di Mahler infondono al film un senso di struggimento assoluto, facendone un melodramma liturgico di ipnotica sospensione. Nel cast tra Romolo Valli, Marisa Berenson, Silvana Mangano, Carole Andrè ed il giovanissimo Björn Andrésen, spicca il protagonista Dirk Bogarde, calatosi nel ruolo con ammirevole mimetismo. Visconti girò anche un documentario, Alla ricerca di Tadzio, in cui racconta gli innumerevoli provini, fatti in giro per l’Europa, per trovare l’attore giusto per la sua idea di Tadzio, che doveva incarnare un’idea di bellezza androgina, distante e “mortuaria”. Alla fine la scelta cadde sullo svedese Björn Andrésen, il cui ambiguo sembiante resta impresso nella memoria dello spettatore.

Voto:
voto: 4,5/5

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