venerdì 8 aprile 2016

La terra trema (La terra trema, 1948) di Luchino Visconti

Il pescatore ‘Ntoni e la sua umile famiglia vivono e lavorano ad Aci Trezza dove vengono sfruttati, nonostante la loro indigenza, dai grossi commercianti di pesce. Stanco dei soprusi e della miseria, il combattivo ‘Ntoni decide di ribellarsi e incita i suoi colleghi alla rivolta. Dopo gli inevitabili tumulti, a seguito dei quali ‘Ntoni finisce anche in prigione, l’uomo decide di rischiare il tutto per tutto e ipoteca la sua casa per acquistare una barca tutta sua, con la quale mettersi in proprio. Ma le cose non andranno nel modo sperato e la famiglia si disgregherà. Liberamente tratto da “I Malavoglia” di Giovanni Verga, è uno degli indiscussi capolavori del neorealismo italiano, che doveva essere solo il primo atto (da cui il sottotitolo di “Episodio del mare” che spesso lo accompagna) di una trilogia viscontiana sui lavoratori siciliani. Ma questo ambizioso progetto non sarà mai completato dal Maestro milanese e ne resterà soltanto questo capitolo. Il tema principale del film, analogo a quello del romanzo ispiratore, è la rivolta di pochi individui ad un sistema di vessazione economica imposto da una società classista di stampo capitalistico, che sfrutta i deboli a proprio vantaggio. In accordo ai codici neorealisti Visconti girò il film nei veri luoghi, utilizzando attori non professionisti (gli abitanti di Aci Trezza) che parlano il vernacolo locale in presa diretta, salvo poi sostituirlo con un dialetto siciliano più “comprensibile” nelle edizioni uscite in sala. Dal punto di vista estetico è un’opera solenne e impeccabile, un documento storico di rara bellezza, un affresco realistico di rara forza tragica e di stupefacente vigore plastico, un sontuoso melodramma popolare che riesce a rendere l’anima collettiva di un popolo di derelitti con ammirevole respiro epico. In accordo alla sua ideologia marxista l’autore accentua il taglio politico rispetto all’opera verghiana, soffermandosi sul tema della lotta di classe e sulla rapace ingiustizia del capitalismo. In tal senso è innegabile che si tratta di un film “a tesi” e ideologicamente fazioso, per quanto moralmente indiscutibile e socialmente inappuntabile nella sua strenua difesa degli umili. Il suo pessimismo programmatico (comune anche al libro del Verga) aumenta il contrasto, tipico di tutto il cinema dell’autore, tra decadentismo sofisticato e prospettiva comunista, tra meditazione patrizia e patos romanzesco, dando vita ad un’epopea tragica di potente afflato sociopolitico, un elogio dei vinti, in forma di requiem solenne, del tutto scevro da populismo, che non ha perso un briciolo della sua forza a distanza di quasi settant’anni. Alcuni critici (probabilmente di parte politica avversa) accusarono l’autore di una certa freddezza nella descrizione dei personaggi, un distacco emotivo causato dalla sua estrazione aristocratica che gli avrebbe impedito l’autentica compenetrazione. Il film fu premiato con il Leone d’Oro al Festival del Cinema di Venezia e vide la collaborazione, in qualità di aiuto registi, di Francesco Rosi e Franco Zeffirelli. La sua versione restaurata del 1993 è un autentico gioiello da custodire con cura nella propria videoteca.

Voto:
voto: 5/5

Nessun commento:

Posta un commento