Il pescatore ‘Ntoni e la sua umile
famiglia vivono e lavorano ad Aci Trezza dove vengono sfruttati, nonostante la
loro indigenza, dai grossi commercianti di pesce. Stanco dei soprusi e della
miseria, il combattivo ‘Ntoni decide di ribellarsi e incita i suoi colleghi
alla rivolta. Dopo gli inevitabili tumulti, a seguito dei quali ‘Ntoni finisce
anche in prigione, l’uomo decide di rischiare il tutto per tutto e ipoteca la
sua casa per acquistare una barca tutta sua, con la quale mettersi in proprio.
Ma le cose non andranno nel modo sperato e la famiglia si disgregherà. Liberamente
tratto da “I Malavoglia” di Giovanni
Verga, è uno degli indiscussi capolavori del neorealismo italiano, che doveva
essere solo il primo atto (da cui il sottotitolo di “Episodio del mare” che spesso lo accompagna) di una trilogia
viscontiana sui lavoratori siciliani. Ma questo ambizioso progetto non sarà mai
completato dal Maestro milanese e ne resterà soltanto questo capitolo. Il tema
principale del film, analogo a quello del romanzo ispiratore, è la rivolta di
pochi individui ad un sistema di vessazione economica imposto da una società
classista di stampo capitalistico, che sfrutta i deboli a proprio vantaggio. In
accordo ai codici neorealisti Visconti girò il film nei veri luoghi,
utilizzando attori non professionisti (gli abitanti di Aci Trezza) che parlano
il vernacolo locale in presa diretta, salvo poi sostituirlo con un dialetto
siciliano più “comprensibile” nelle edizioni uscite in sala. Dal punto di vista
estetico è un’opera solenne e impeccabile, un documento storico di rara
bellezza, un affresco realistico di rara forza tragica e di stupefacente vigore
plastico, un sontuoso melodramma popolare che riesce a rendere l’anima
collettiva di un popolo di derelitti con ammirevole respiro epico. In accordo
alla sua ideologia marxista l’autore accentua il taglio politico rispetto
all’opera verghiana, soffermandosi sul tema della lotta di classe e sulla
rapace ingiustizia del capitalismo. In tal senso è innegabile che si tratta di
un film “a tesi” e ideologicamente fazioso, per quanto moralmente indiscutibile
e socialmente inappuntabile nella sua strenua difesa degli umili. Il suo
pessimismo programmatico (comune anche al libro del Verga) aumenta il
contrasto, tipico di tutto il cinema dell’autore, tra decadentismo sofisticato
e prospettiva comunista, tra meditazione patrizia e patos romanzesco, dando
vita ad un’epopea tragica di potente afflato sociopolitico, un elogio dei vinti,
in forma di requiem solenne, del tutto scevro da populismo, che non ha perso un
briciolo della sua forza a distanza di quasi settant’anni. Alcuni critici
(probabilmente di parte politica avversa) accusarono l’autore di una certa
freddezza nella descrizione dei personaggi, un distacco emotivo causato dalla
sua estrazione aristocratica che gli avrebbe impedito l’autentica
compenetrazione. Il film fu premiato con il Leone d’Oro al Festival del Cinema
di Venezia e vide la collaborazione, in qualità di aiuto registi, di Francesco
Rosi e Franco Zeffirelli. La sua versione restaurata del 1993 è un autentico gioiello
da custodire con cura nella propria videoteca.
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