mercoledì 27 aprile 2016

Malèna (Malèna, 2000) di Giuseppe Tornatore

Negli anni della seconda guerra mondiale la bellissima Malèna Scordia è la donna più ammirata del paese siciliano in cui vive, oggetto del desiderio di tutti i maschi, che nutrono un’autentica ossessione nei suoi confronti, e ricettacolo delle invidie velenose della popolazione femminile. In particolare l’adolescente Renato, in piena tempesta ormonale, è morbosamente attratto dalla donna, che popola tutti i suoi sogni erotici, al punto di pedinarla e spiarla ad ogni ora della giornata. Quando Malèna riceve la notizia della morte del marito, partito in guerra, inizia per lei un difficile percorso di traversie personali che si protrarranno per tutta la durata del conflitto mondiale, passando da una schiera di amanti chiacchierati all’esercizio della prostituzione durante l’occupazione nazista, fino ad un’insana esplosione di rabbia popolare nei suoi confronti. Nonostante tutto il giovane Renato non l’abbandonerà mai e resterà sempre il muto testimone adorante della sua vita. Tornatore ritorna alla Sicilia della sua infanzia, adattando un soggetto di Luciano Vincenzoni e dando vita ad un malinconico dramma sentimentale, denso di metafore e di omaggi verso i suoi ricordi e le sue passioni, innanzi tutto cinematografiche. Tra immagini di possente respiro epico e cadute di stile, tra la nostalgica elegia di una Sicilia mitizzata e la sferzante critica sociale che non ne nasconde il volto gretto, retrogrado e conformista, l’autore tratteggia un affresco appassionato all’erotismo carnale di Malèna (Monica Bellucci), trasformandola in icona del desiderio, allegoria dei sogni impossibili e simbolo voluttuoso della magia del Cinema. Quel cinema che ha irreversibilmente affascinato l’animo del Tornatore bambino, rendendolo spettatore devoto ed ammaliato, prima che regista ambizioso, proprio come avviene a Renato nei confronti della sua musa tentatrice. Come spesso accade nelle opere dell’autore, l’enfasi retorica a volte travalica la materia narrativa, creando un evidente squilibrio tra i momenti alti (che di certo non mancano, perché Tornatore possiede un grande senso dello spettacolo cinematografico) e quelli incongrui, tra eccessi di voyeurismo e sequenze kitsch. La banalità della storia, l’eccesso macchiettistico di alcuni personaggi e una certa ridondanza espressiva sono riscattate dalla sontuosa confezione estetica, che trova i suoi punti di forza nell’imponente ricostruzione storico ambientale, nella bella fotografia solare di Lajos Koltai e nelle struggenti musiche di Ennio Morricone, che per questo film ha ricevuto la quinta candidatura agli Oscar della sua leggendaria carriera. La scelta di non far parlare (quasi) mai la Bellucci (la sua prima battuta arriva dopo circa cinquanta minuti), si è rivelata vincente, in tutti i sensi. Per questo film disomogeneo i fans del regista avranno di che godere, mentre i suoi detrattori potranno altresì sbizzarrirsi nelle invettive.

Voto:
voto: 3,5/5

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