sabato 9 aprile 2016

Bellissima (Bellissima, 1951) di Luchino Visconti

Il regista Blasetti cerca una bambina “bellissima” come interprete del suo prossimo film. Uno stuolo di mamme romane si presenta ai provini a Cinecittà, con la speranza che la loro figlia venga scelta e possa entrare nel magico mondo del cinema. Tra queste la combattiva Maddalena Cecconi le prova tutte per sponsorizzare la sua piccola Maria, finendo nelle mani di imbroglioni senza scrupoli che le spillano soldi e cercano di approfittarsi di lei. Quando la sua bambina supera il provino e ottiene la parte, Maddalena sarà così disgustata da tirarsi indietro e rinunciare. Da un soggetto di Zavattini, Visconti, dopo aver riveduto e corretto lo script iniziale, ha tratto un’amara satira al veleno sul mondo del cinema e su tutto il sottobosco di faccendieri cialtroni che vi gravitano intorno, pronti ad approfittarsi di chi intravede, in un miraggio di successo, l’occasione di rivalsa per la propria vita. Impietosamente lucido nella sua analisi critica, ricorre anche all’utilizzo del grottesco per demitizzare la “fabbrica dei sogni” mostrandocene il lato in ombra, i dietro le quinte meschini e svelando così l’inganno supremo che si nasconde dietro la sua facciata sfavillante. Alla sua uscita generò non poche polemiche per il presunto abbandono del neorealismo da parte di Visconti. A saper leggere tra le righe, è innegabile che questo film iconoclasta contenga anche velati attacchi all’ortodossia del movimento neorealista, di cui l’autore ha sempre criticato il fragile lirismo, qui rimpiazzato da una mordace satira sulle contraddizioni di un popolo ingenuo, facilmente manipolabile e ancora duramente provato dal disastro di una guerra da poco alle spalle. Al di là di questo Bellissima è un meraviglioso e veemente ritratto di donna, cucito addosso alla sua straordinaria interprete, una regale Anna Magnani, che qui ci regala una delle sue prove più intense e toccanti della sua folgorante carriera. La diva, nonostante qualche inevitabile screzio col regista dovuto alla sua esuberante personalità, trae giovamento dal rapporto professionale con Visconti, che riesce a temperare il suo debordante istrionismo, facendo della grande attrice l’emblema di tutte le mamme italiane offese ed umiliate, ma anche capaci di dignitosa fierezza e di saldezza morale. L’asciutto rigore dell’autore ed il suo sguardo causticamente spietato danno vita ad un apologo tagliente e disincantato, privo di sentimentalismi o di melassa moralistica, nonostante il finale apparentemente edificante. La scena tra Anna Magnani e Walter Chiari sulla riva del fiume è una delle più belle del cinema viscontiano.

Voto:
voto: 5/5

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