Karin è una lituana internata in un campo
profughi che, per ottenere la cittadinanza italiana, sposa il soldato siciliano
Antonio. Finita la guerra i due vanno a vivere a Stromboli, isola natale
dell’uomo, e Karin non riesce ad adattarsi alle differenze culturali con la
retrograda gente del luogo, alla durezza della vita sull’isola ed al marito
pescatore che si rivela rozzo e geloso. In preda alla disperazione cerca di
fuggire dall’isola con il figlio che porta in grembo, proprio mentre il vulcano
inizia ad eruttare. Primo film di Rossellini con la star Ingrid Bergman,
divenuto famoso anche perché proprio su questo set “galeotto” nacque la
relazione tra i due (entrambi sposati), che suscitò lo scandalo internazionale e
che li condurrà al matrimonio, dopo aver ottenuto i rispettivi divorzi, da cui
nasceranno tre figli. E’ un film difficile, fondamentale nella carriera del
Maestro italiano perché segnò il definitivo passaggio dal Neorealismo ad un
cinema più intimo, più ermetico e più radicale, essenzialmente rivolto ai
conflitti interiori dell’essere umano. Fu osteggiato dai critici, che lo
disprezzarono bollandolo come tedioso, pretenzioso e incomprensibile, ma
riscosse un buon successo di pubblico grazie allo scandalo suscitato dalla
relazione tra due personaggi così famosi. Questo capolavoro scomodo, ostico e
ruvido come la selvaggia natura stromboliana, è una sottile parabola
esistenziale di incredibile bellezza e di lucido rigore psicologico, sospesa
tra il documentario e l’autobiografia (è evidente che le sensazioni provate da
Karin sono le stesse vissute dal regista e dall’attrice in quel preciso
momento, visto che entrambi volevano fuggire dai rispettivi matrimoni per
vivere liberamente la loro storia d’amore). Il contrasto tra la luminosa
bellezza della Bergman, nobilmente austera nella sua aura nordica, e quella
ancestrale, e fieramente brutale, dell’isola siciliana è tanto stridente quanto
espressivo, artefice di intense tensioni drammatiche, di suggestioni ascetiche,
di poesia spirituale. La sequenza del tormento interiore di Karin che invoca
Dio, mentre il vulcano erutta la sua furia possente è straordinaria, un momento
di cinema puro ed altissimo, una sorta di documento dell’anima che lascia
ammirati ed atterriti. Qui l’autore sembra dirci che la ricerca spirituale è
alimentata più dal contrasto interiore che dalla mistica contemplazione. Ed è
altresì magistrale la scena in cui Karin osserva i pescatori al lavoro, con il
campo-controcampo che alterna le reti con i pesci agonizzanti al volto
sofferente della donna, in preda allo sgomento. Una scena che andrebbe studiata
nelle scuole di cinema per la sua alta resa drammatica e per la sua capacità di
fondere suggestioni contrastanti: lo spirito collaborativo degli uomini al
lavoro, la morte e l’indifferenza degli uni verso essa, il tormento dell’altra
e, quindi, lo scandaglio dell’animo femminile. In questo splendido film, in cui
l’arte si mescola alla vita (reale) e viceversa, Rossellini annuncia,
implicitamente e definitivamente, la sua scelta radicale di porsi ai margini
del cinema “ufficiale” per abbracciare un percorso diverso, isolato,
essenziale, sperimentale, rapsodico, forse elitario ma anche profondo
nell’essenza più intima del termine. Un cinema nuovo e di rottura, fondamentale
per la sua influenza sui posteri, precursore di una modernità troppo audace per
essere compresa ai suoi tempi, lungimirante nella sua portata stilistica e
tematica, che sembra già anticipare la poetica della crisi di Antonioni. La
svolta esistenzialista di Rossellini, che parte da questo film e proseguirà in
tutti quelli girati con la
Bergman, non va intesa come disinteresse verso le tematiche
collettive del neorealismo, ma come evoluzione del suo pessimismo antropologico
da storico a universale, esattamente come avvenuto in Leopardi. In tal senso Stromboli
(il film, l’isola e il vulcano) incarna perfettamente il senso di tormento
interiore, l’instabilità inquieta, l’estetica del conflitto a cui il regista è
giunto in modo quasi naturale e di cui sia la Storia sia la Natura sia l’ambiente sociale sono
corresponsabili. Il ritratto di donna, Karin, offerto dal film è spigoloso,
problematico, ambiguo. La Karin
di Ingrid Bergman è un personaggio difficile ma interessante, umana nella sua
fragilità e nelle sue debolezze, non è facile empatizzare con lei ma è altresì
difficile condannarla dal punto di vista morale. Karin non è di certo una santa
ma nemmeno una poco di buono, è una donna realisticamente moderna perché
rappresenta le ansia e i turbamenti di una società post bellica, protesa verso
il nuovo e scossa da profondi mutamenti sociali e di costume. Analogamente il
marito Antonio ed i gretti paesani dell’isola non sono descritti unicamente
come ignoranti retrivi, visto che ne vengono spesso sottolineati l’umile
dignità, la strenua saldezza e la fiera integrità che li rende attaccati alla
terra e al lavoro. Nel cinema di Rossellini, che è profondamente morale ma non
manicheo, non ci sono demoni o santi, ma soltanto uomini. Il flusso emozionale,
rigoroso e mai enfatico, fluisce libero verso lo spettatore senza imposizioni,
senza condizionamenti o sermoni moralistici, lasciando il compito a chi guarda
di interpretare le immagini e di stabilire (o non stabilire) un’empatia con
esse. L’alto senso di modernità del cinema rosselliniano, da questo film in
poi, risiede essenzialmente in questo dualismo tra l’amoralità delle immagini e
la moralità dello sguardo. Il totale compimento di questi concetti avviene nello
straziante finale anticatartico, che si apre a profonde riflessioni di
carattere psicologico, sublimando le molte anime del film (documentario
folcloristico, apologo esistenziale, critica istituzionale, percorso
naturalista, introspezione morale) in un unico potente urlo di austera
intensità. L’urlo del vulcano, l’urlo della donna, l’urlo di un’umanità alla
ricerca di sé, l’urlo di un cinema nuovo che cambierà per sempre la storia
della settima arte.
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