venerdì 8 aprile 2016

Stromboli (Terra di Dio) (Stromboli (Terra di Dio), 1950) di Roberto Rossellini

Karin è una lituana internata in un campo profughi che, per ottenere la cittadinanza italiana, sposa il soldato siciliano Antonio. Finita la guerra i due vanno a vivere a Stromboli, isola natale dell’uomo, e Karin non riesce ad adattarsi alle differenze culturali con la retrograda gente del luogo, alla durezza della vita sull’isola ed al marito pescatore che si rivela rozzo e geloso. In preda alla disperazione cerca di fuggire dall’isola con il figlio che porta in grembo, proprio mentre il vulcano inizia ad eruttare. Primo film di Rossellini con la star Ingrid Bergman, divenuto famoso anche perché proprio su questo set “galeotto” nacque la relazione tra i due (entrambi sposati), che suscitò lo scandalo internazionale e che li condurrà al matrimonio, dopo aver ottenuto i rispettivi divorzi, da cui nasceranno tre figli. E’ un film difficile, fondamentale nella carriera del Maestro italiano perché segnò il definitivo passaggio dal Neorealismo ad un cinema più intimo, più ermetico e più radicale, essenzialmente rivolto ai conflitti interiori dell’essere umano. Fu osteggiato dai critici, che lo disprezzarono bollandolo come tedioso, pretenzioso e incomprensibile, ma riscosse un buon successo di pubblico grazie allo scandalo suscitato dalla relazione tra due personaggi così famosi. Questo capolavoro scomodo, ostico e ruvido come la selvaggia natura stromboliana, è una sottile parabola esistenziale di incredibile bellezza e di lucido rigore psicologico, sospesa tra il documentario e l’autobiografia (è evidente che le sensazioni provate da Karin sono le stesse vissute dal regista e dall’attrice in quel preciso momento, visto che entrambi volevano fuggire dai rispettivi matrimoni per vivere liberamente la loro storia d’amore). Il contrasto tra la luminosa bellezza della Bergman, nobilmente austera nella sua aura nordica, e quella ancestrale, e fieramente brutale, dell’isola siciliana è tanto stridente quanto espressivo, artefice di intense tensioni drammatiche, di suggestioni ascetiche, di poesia spirituale. La sequenza del tormento interiore di Karin che invoca Dio, mentre il vulcano erutta la sua furia possente è straordinaria, un momento di cinema puro ed altissimo, una sorta di documento dell’anima che lascia ammirati ed atterriti. Qui l’autore sembra dirci che la ricerca spirituale è alimentata più dal contrasto interiore che dalla mistica contemplazione. Ed è altresì magistrale la scena in cui Karin osserva i pescatori al lavoro, con il campo-controcampo che alterna le reti con i pesci agonizzanti al volto sofferente della donna, in preda allo sgomento. Una scena che andrebbe studiata nelle scuole di cinema per la sua alta resa drammatica e per la sua capacità di fondere suggestioni contrastanti: lo spirito collaborativo degli uomini al lavoro, la morte e l’indifferenza degli uni verso essa, il tormento dell’altra e, quindi, lo scandaglio dell’animo femminile. In questo splendido film, in cui l’arte si mescola alla vita (reale) e viceversa, Rossellini annuncia, implicitamente e definitivamente, la sua scelta radicale di porsi ai margini del cinema “ufficiale” per abbracciare un percorso diverso, isolato, essenziale, sperimentale, rapsodico, forse elitario ma anche profondo nell’essenza più intima del termine. Un cinema nuovo e di rottura, fondamentale per la sua influenza sui posteri, precursore di una modernità troppo audace per essere compresa ai suoi tempi, lungimirante nella sua portata stilistica e tematica, che sembra già anticipare la poetica della crisi di Antonioni. La svolta esistenzialista di Rossellini, che parte da questo film e proseguirà in tutti quelli girati con la Bergman, non va intesa come disinteresse verso le tematiche collettive del neorealismo, ma come evoluzione del suo pessimismo antropologico da storico a universale, esattamente come avvenuto in Leopardi. In tal senso Stromboli (il film, l’isola e il vulcano) incarna perfettamente il senso di tormento interiore, l’instabilità inquieta, l’estetica del conflitto a cui il regista è giunto in modo quasi naturale e di cui sia la Storia sia la Natura sia l’ambiente sociale sono corresponsabili. Il ritratto di donna, Karin, offerto dal film è spigoloso, problematico, ambiguo. La Karin di Ingrid Bergman è un personaggio difficile ma interessante, umana nella sua fragilità e nelle sue debolezze, non è facile empatizzare con lei ma è altresì difficile condannarla dal punto di vista morale. Karin non è di certo una santa ma nemmeno una poco di buono, è una donna realisticamente moderna perché rappresenta le ansia e i turbamenti di una società post bellica, protesa verso il nuovo e scossa da profondi mutamenti sociali e di costume. Analogamente il marito Antonio ed i gretti paesani dell’isola non sono descritti unicamente come ignoranti retrivi, visto che ne vengono spesso sottolineati l’umile dignità, la strenua saldezza e la fiera integrità che li rende attaccati alla terra e al lavoro. Nel cinema di Rossellini, che è profondamente morale ma non manicheo, non ci sono demoni o santi, ma soltanto uomini. Il flusso emozionale, rigoroso e mai enfatico, fluisce libero verso lo spettatore senza imposizioni, senza condizionamenti o sermoni moralistici, lasciando il compito a chi guarda di interpretare le immagini e di stabilire (o non stabilire) un’empatia con esse. L’alto senso di modernità del cinema rosselliniano, da questo film in poi, risiede essenzialmente in questo dualismo tra l’amoralità delle immagini e la moralità dello sguardo. Il totale compimento di questi concetti avviene nello straziante finale anticatartico, che si apre a profonde riflessioni di carattere psicologico, sublimando le molte anime del film (documentario folcloristico, apologo esistenziale, critica istituzionale, percorso naturalista, introspezione morale) in un unico potente urlo di austera intensità. L’urlo del vulcano, l’urlo della donna, l’urlo di un’umanità alla ricerca di sé, l’urlo di un cinema nuovo che cambierà per sempre la storia della settima arte.

Voto:
voto: 5/5

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