lunedì 18 aprile 2016

This Must Be the Place (This Must Be the Place, 2011) di Paolo Sorrentino

Cheyenne è un ex star del rock, ricco e apatico, che trascina la sua vita tra una moglie premurosa che lo coccola come un bambino viziato e il malinconico ricordo della sua carriera ormai tramontata. Come un alieno irrisolto e desincronizzato, continua a vestirsi e a truccarsi con il vistoso look punk, ormai fuori moda, con cui calcava i palcoscenici negli anni d’oro. L’improvvisa morte del padre, col quale non aveva più rapporti da tempo, lo spinge a tornare a New York e al suo passato. La scoperta dell’ossessione del vecchio genitore (vendicarsi di un ufficiale nazista, emigrato negli Stati Uniti e forse ancora vivo, che lo ha perseguitato ad Auschwitz) fa scattare qualcosa nel cuore di Cheyenne, che parte per un lungo viaggio attraverso l’America alla ricerca dell’aguzzino tedesco. I luoghi e le persone con cui entrerà in contatto lo porteranno a nuove consapevolezze e lo costringeranno a compiere delle scelte. Sorrentino sbarca negli USA con questo intimo dramma esistenziale, stravagante e appartato come il suo personaggio protagonista, interpretato con efficace mimetismo da Sean Penn. Girato con sorprendente linearità, rispetto ai canoni dell’autore, questo stralunato road movie alterna i toni della commedia grottesca a quelli di un ricercato romanzo di formazione interiore, che evita abilmente le trappole del farsesco involontario grazie alla bravura di Penn, che riesce a donare un lunare carisma ad un personaggio ad alto rischio di “macchietta”. Le cifre stilistiche visive e musicali restano conformi al talentuoso manierismo del regista napoletano, sempre sospeso tra l’intellettualismo radical chic e la ricerca del virtuosismo funambolico, e il film ha diversi momenti alti (come l’incontro tra Cheyenne e David Byrne o il suo duetto musicale con il giovane figlio della ragazza madre). Questi momenti pregevoli risultano però alternati ad altri evanescenti e inconcludenti, come nelle abitudini di Sorrentino. Il risultato finale è un film disomogeneo che può essere idealmente diviso in due parti: la prima, più interessante, è una commedia sofisticata di taglio grottesco che esplicita il personaggio di Cheyenne, le sue contraddizioni, le sue spigolosità e la sua tenerezza. La seconda, più convenzionale, è quella “on the road”, che appare come una propaggine stiracchiata della prima e approda in un epilogo poco convincente. Resta interessante lo sguardo “profano” di Sorrentino nel ritrarre un’America diversa, non oleografica e non convenzionale, lontana dagli stereotipi e dalle banali iconografie europee, un’America luminosa e provinciale, sterminata e depressa, che ricorda un po’ quella ritratta da Wenders in Paris, Texas. Completano il cast Frances McDormand, Judd Hirsch, Eve Hewson, Harry Dean Stanton per un film affascinante ma irrisolto, esteticamente pregevole ma ondivago. Un Sorrentino “doc”, insomma.

Voto:
voto: 3,5/5

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