venerdì 15 aprile 2016

Kundun (Kundun, 1997) di Martin Scorsese

Nel Tibet degli anni ’30 il piccolo Tenzin Gyatso, figlio di umili contadini, viene scoperto come reincarnazione del Buddha e quattordicesimo Dalai Lama (Kundun in lingua tibetana). Il film segue le tappe della sua crescita e della sua formazione spirituale, dalla rivelazione all’investitura, dall’invasione cinese all’incontro con il leader Mao Tse Tung, dalla rivolta repressa nel sangue alla fuga in India. Dal libro autobiografico “La libertà nell'esilio”, del quattordicesimo Dalai Lama del Tibet, Tenzin Gyatso, Scorsese ha tratto un adattamento sontuoso e puntiglioso, visivamente ricchissimo, più incisivo sotto l’aspetto umano e spirituale che storico e politico. Pur tra omissioni, semplificazioni e licenze artistiche, l’autore dà vita ad un affresco maestoso, armonico, visionario, modellato sul tema del percorso di maturazione, quella del suo protagonista, dall’infanzia spensierata fino all’illuminazione trascendente. La quieta possanza del film, che deriva dalla sua carica austera e dal rigoroso controllo registico sulla materia narrativa, è molto vicina all’equilibrio interiore dello spirito buddista. La caratterizzazione effeminata di Mao Tse Tung è forse l’unica nota dolente di un’opera un po’ impacciata negli aspetti politici ma che vola altissima nei momenti introspettivi e spirituali. Parecchie le scene memorabili: la prospettiva di Lhasa dal cannocchiale, le danze sciamane, l’efferata morte del padre di Tenzin o il magico caleidoscopio di “mandala” che si susseguono sotto i nostri occhi come mistiche didascalie di uno stato d’animo proteso verso la perfezione. Le splendide scenografie di Dante Ferretti, che riscostruiscono l’ambiente tibetano in Marocco, conferiscono alla pellicola un possente respiro ascetico e, al tempo stesso, un fertile senso di straniamento. Uno Scorsese inedito in un film forse spiazzante, ma di intensa personalità e di armonico equilibrio, che divise la critica ed ebbe scarso successo al botteghino. Chi si è lamentato della mancanza del genio scorsesiano e dello stile documentaristico, non ne ha colto lo spessore mistico (potente e trattenuto), che trasuda dalle suggestive immagini, tra le più belle nella filmografia del Maestro italoamericano.

Voto:
voto: 4/5

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