Nel Tibet degli anni ’30 il piccolo
Tenzin Gyatso, figlio di umili contadini, viene scoperto come reincarnazione
del Buddha e quattordicesimo Dalai Lama (Kundun in lingua tibetana). Il film
segue le tappe della sua crescita e della sua formazione spirituale, dalla
rivelazione all’investitura, dall’invasione cinese all’incontro con il leader Mao
Tse Tung, dalla rivolta repressa nel sangue alla fuga in India.
Dal libro autobiografico “La libertà
nell'esilio”, del quattordicesimo Dalai Lama del Tibet, Tenzin Gyatso, Scorsese
ha tratto un adattamento sontuoso e puntiglioso, visivamente ricchissimo, più
incisivo sotto l’aspetto umano e spirituale che storico e politico. Pur tra
omissioni, semplificazioni e licenze artistiche, l’autore dà vita ad un
affresco maestoso, armonico, visionario, modellato sul tema del percorso di
maturazione, quella del suo protagonista, dall’infanzia spensierata fino
all’illuminazione trascendente. La quieta possanza del film, che deriva dalla
sua carica austera e dal rigoroso controllo registico sulla materia narrativa,
è molto vicina all’equilibrio interiore dello spirito buddista. La
caratterizzazione effeminata di Mao Tse Tung è forse l’unica nota dolente di
un’opera un po’ impacciata negli aspetti politici ma che vola altissima nei
momenti introspettivi e spirituali. Parecchie le scene memorabili: la
prospettiva di Lhasa dal cannocchiale, le danze sciamane, l’efferata morte del
padre di Tenzin o il magico caleidoscopio di “mandala” che si susseguono sotto
i nostri occhi come mistiche didascalie di uno stato d’animo proteso verso la
perfezione. Le splendide scenografie di Dante Ferretti, che riscostruiscono
l’ambiente tibetano in Marocco, conferiscono alla pellicola un possente respiro
ascetico e, al tempo stesso, un fertile senso di straniamento. Uno Scorsese
inedito in un film forse spiazzante, ma di intensa personalità e di armonico
equilibrio, che divise la critica ed ebbe scarso successo al botteghino. Chi si
è lamentato della mancanza del genio scorsesiano e dello stile
documentaristico, non ne ha colto lo spessore mistico (potente e trattenuto),
che trasuda dalle suggestive immagini, tra le più belle nella filmografia del
Maestro italoamericano.
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