mercoledì 20 aprile 2016

La cagna (La cagna, 1972) di Marco Ferreri

Giorgio è un disegnatore di fumetti di mezza età. Stanco della routine della sua vita parigina si trasferisce in una piccola isola della Sardegna, per vivere isolato insieme al suo cane Melampo. Un giorno sbarca sull’isola l’affascinante Liza, che è subito ammaliata dall’eremita Giorgio e ne diventa l’amante. Ma questi sembra quasi indifferente rispetto alla sua presenza e preferisce trascorrere il tempo con il suo cane. Allora la gelosa Liza uccide l’animale e ne prende il posto, interpretando il ruolo della compagna silenziosa e sottomessa, totalmente fedele al suo padrone. Tratto dalla novella “Melampus” di Ennio Flaiano (che doveva anche dirigere il film ma morì poco prima), questo surreale dramma urticante di Ferreri è una lucida e amara requisitoria sulla solitudine umana nell’età del benessere economico. Chi ci ha voluto vedere un elogio del sadomasochismo a sfondo misogino non ne ha colto la reale essenza dissacrante, di feroce nichilismo e non priva di perfida ironia nera, che mira a scardinare mitologie istituzionali quali l’agiatezza della vita borghese o la “normalità” del rapporto di coppia, mettendo in scena un’umanità disperata e irrisolta, incapace di vivere secondo le regole imposte dal conformismo capitalistico, che anela inconsciamente alla fuga dalla società civile e da un futuro precostruito. In questo quadro desolante, raffigurato con altissimo livello stilistico, lo sguardo dell’autore appare sempre glaciale e distaccato rispetto ai contenuti “scabrosi” della seconda parte, facendo così cadere ogni possibile sospetto di compiacimento morboso. In quest’opera dissonante e di grande fascino simbolico ricorrono molti dei topoi dell’autore: come il cibo, il mare, il sud, l’evasione, gli istinti bestiali, le immagini riprodotte. Tutto concorre al suggestivo risultato finale per un film anarchico e poetico, ellittico e straniante, in cui la trasfigurazione grottesca della realtà, operata da Ferreri, non diverge mai da una spiccata aderenza agli eventi del suo tempo. Basti citare il femminismo (qui ribaltato in forma provocatoria), il ruolo impotente dell’artista o dell’intellettuale rispetto ai fenomeni sociali, la sterilità della borghesia e persino la morbosità dei mass media (si pensi alla splendida sequenza nell’appartamento in cui la TV “bombarda” gli spettatori con immagini di inusitata violenza). Il finale, geniale nella sua paradossale allegoria (l’elica del vecchio aeroplano si muove anche se il motore è spento), sancisce definitivamente il senso (e il non senso) di un’opera di alta statura ideologica e di raffinata astrazione concettuale. Nel cast spiccano i due protagonisti, entrambi bravissimi, Marcello Mastroianni e Catherine Deneuve. Le scene isolane sono state girate a Lavezzi e Cavallo, che si trovano nelle Bocche di Bonifacio, tra la Sardegna e la Corsica.

Voto:
voto: 4,5/5

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