mercoledì 13 aprile 2016

Mean Streets - Domenica in chiesa, lunedì all'inferno (Mean Streets, 1973) di Martin Scorsese

Nella “Little Italy” newyorkese degli anni ’70 vive Charlie Cappa, ossessionato dalla religione e dal sesso, e diviso tra la voglia di far “carriera” nell’ambiente della malavita tramite lo zio mafioso e il disprezzo per la realtà meschina in cui è cresciuto. Amico d’infanzia dello scapestrato “Johnny Boy”, che si mette sempre nei guai per il suo carattere rissoso, è innamorato di sua cugina Teresa, malata di epilessia. La vita pericolosa e le pessime frequentazioni condurranno irrimediabilmente i due amici nei guai. Questo ruvido affresco di inferno urbano, denso di riferimenti autobiografici e messo in scena con il piglio rigoroso di un antropologo, è il film che ha lanciato Martin Scorsese ed è la pietra, seminale più che miliare, su cui si fonda la sua estetica della violenza e del degrado morale. Con un approccio “neorealistico” l’autore ci parla di una realtà che conosce perfettamente, quella in cui è cresciuto, figlio di emigranti italiani innamorato del cinema e curioso verso quell’ambiente duro e complesso, sospeso tra religiosità e brutalità, romanticismo e perdizione, folclore e morte. Il suo sguardo registico è lucido, a tratti impietoso, ma anche prodigo di affetto verso i suoi personaggi, angeli teneri e maledetti atavicamente condannati al calvario terreno dalle feroci leggi “tribali” del loro quartiere, una giungla urbana in cui i più deboli soccombono. Grazie all’estro narrativo dell’autore ed alla forza espressiva di due giovani attori già straordinari, come Harvey Keitel e Robert De Niro, quest’aspra storia di strada ha il piglio veemente di un crudo ritratto sociale, e contiene già molti stilemi che poi diventeranno cavalli di battaglia del grande regista. Il sottotitolo italiano (“Domenica in chiesa, lunedì all'inferno”) è più che pertinente e si riferisce a un’espressione molto diffusa in quegli ambienti, secondo la quale gli abitanti del distretto italoamericano dell’epoca avevano ben poche possibilità di scelta rispetto al loro futuro, se non quella di diventare un prete o un gangster. Il personaggio di Charlie Cappa/Harvey Keitel è di evidente matrice autobiografica e i suoi sentimenti, espressi con viscerale enfasi nel corso del film, sono legati a ricordi ed emozioni realmente vissute da Scorsese. Come documento storico è straordinario, come opera cinematografica è ancora acerba, ma rappresenta un antesignano fondante, non privo di tensione tragica, della filmografia che verrà di uno dei massimi registi americani di tutti i tempi.

Voto:
voto: 4/5

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