Nella “Little Italy” newyorkese degli
anni ’70 vive Charlie Cappa, ossessionato dalla religione e dal sesso, e diviso
tra la voglia di far “carriera” nell’ambiente della malavita tramite lo zio
mafioso e il disprezzo per la realtà meschina in cui è cresciuto. Amico
d’infanzia dello scapestrato “Johnny Boy”, che si mette sempre nei guai per il
suo carattere rissoso, è innamorato di sua cugina Teresa, malata di epilessia.
La vita pericolosa e le pessime frequentazioni condurranno irrimediabilmente i
due amici nei guai. Questo ruvido affresco di inferno urbano, denso di
riferimenti autobiografici e messo in scena con il piglio rigoroso di un
antropologo, è il film che ha lanciato Martin Scorsese ed è la pietra, seminale
più che miliare, su cui si fonda la sua estetica della violenza e del degrado
morale. Con un approccio “neorealistico” l’autore ci parla di una realtà che
conosce perfettamente, quella in cui è cresciuto, figlio di emigranti italiani
innamorato del cinema e curioso verso quell’ambiente duro e complesso, sospeso
tra religiosità e brutalità, romanticismo e perdizione, folclore e morte. Il
suo sguardo registico è lucido, a tratti impietoso, ma anche prodigo di affetto
verso i suoi personaggi, angeli teneri e maledetti atavicamente condannati al
calvario terreno dalle feroci leggi “tribali” del loro quartiere, una giungla
urbana in cui i più deboli soccombono. Grazie all’estro narrativo dell’autore
ed alla forza espressiva di due giovani attori già straordinari, come Harvey
Keitel e Robert De Niro, quest’aspra storia di strada ha il piglio veemente di
un crudo ritratto sociale, e contiene già molti stilemi che poi diventeranno
cavalli di battaglia del grande regista. Il sottotitolo italiano (“Domenica in chiesa, lunedì all'inferno”)
è più che pertinente e si riferisce a un’espressione molto diffusa in quegli
ambienti, secondo la quale gli abitanti del distretto italoamericano dell’epoca
avevano ben poche possibilità di scelta rispetto al loro futuro, se non quella
di diventare un prete o un gangster. Il personaggio di Charlie Cappa/Harvey
Keitel è di evidente matrice autobiografica e i suoi sentimenti, espressi con
viscerale enfasi nel corso del film, sono legati a ricordi ed emozioni
realmente vissute da Scorsese. Come documento storico è straordinario, come
opera cinematografica è ancora acerba, ma rappresenta un antesignano fondante, non
privo di tensione tragica, della filmografia che verrà di uno dei massimi
registi americani di tutti i tempi.
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