lunedì 4 aprile 2016

Showgirls (Showgirls, 1995) di Paul Verhoeven

La spregiudicata Nomi Malone arriva a Las Vegas per sfondare nel mondo dello spettacolo. Provvista di un corpo da sballo e della giusta faccia tosta, inizia come ballerina di lap-dance, pronta a tutto pur di soddisfare i suoi avventori, e poi entra a far parte di un sexy musical in un famoso casinò. Grazie alla sua mancanza di scrupoli riuscirà a scalzare (con un colpo basso) l’arrogante star dello show, prendendone il posto. Ancora non paga diventerà pure l’amante prediletta del direttore della casa da gioco, facendo un altro sgambetto alla sua rivale. Ma dopo aver raggiunto il successo a cui ambiva dovrà presto fare i conti con la rapacità del mondo in cui ha deciso di entrare. Un mondo che, proprio come lei, non guarda in faccia a nessuno. Showgirls, film scandalo annunciato del ’95, è un’opera emblematica della carriera di Verhoeven, regista sanguigno e di indubbio talento ma che non sempre riesce a declinare in pellicole totalmente convincenti. E questa sua incursione nello sporco mondo delle lap dancers di Vegas non fa eccezione, anzi segna un evidente passo indietro rispetto ai suoi standard. Pruriginoso nel look, patinato nella confezione grafica e furbescamente disonesto nei suoi ammiccamenti sexy (che fingono di esaltare la libertà sessuale della donna, quando invece ne mortificano la dignità attraverso una dissoluta mercificazione), questa grossolana fiera del banale, del kitsch e dell’eccesso godereccio è un misto tra un Eva contro Eva in salsa cinico cafonal ed un Flashback rimaneggiato in stile “porno soft”. I dialoghi sono risibili, le situazioni costantemente spinte al limite di un erotismo becero e i personaggi, tutti monodimensionali, sono relegabili in tre categorie: belle ingenue (Molly), belle sgualdrine (tutte le altre) o “papponi” spietati. L’autore intende denunciare la volgarità di un mondo tutto lustrini e depravazione, ma cade in pieno nello stesso vizio oggetto della sua critica. Difficile dire quanto ci sia di voluto e quanto di maldestro. Il finale moralistico e totalmente inverosimile è il definitivo colpo di grazia all'intelligenza dello spettatore. Tra gli attori la protagonista Elizabeth Berkley si dà un gran da fare a sgranare i suoi occhioni blu e a dimenare le sue indubbie grazie fisiche per colpire nel segno, ma quando deve recitare si ride di gusto e ci si rende conto di trovarsi di fronte a una pessima copia di Sharon Stone (infatti chi ne ha più sentito parlare di questa bella bionda del Michigan ?). Viene da chiedersi cosa ci facesse Kyle MacLachlan in questo film, quello che è certo è che passare da Lynch a un disastro del genere è davvero un bel salto indietro. Pellicola indifendibile e massacrata all’unanimità da critica e pubblico (vinse tutti i Razzie Awards dell’anno 1995), vale solo come scult che potrebbe essere apprezzato da un pubblico facilone in cerca di grossolani brividi erotici. Ma di carne al vento ce n’è così tanta che ci si stanca presto.

Voto:
voto: 2/5

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