La spregiudicata Nomi
Malone arriva a Las Vegas per sfondare nel mondo dello spettacolo. Provvista di
un corpo da sballo e della giusta faccia tosta, inizia come ballerina di
lap-dance, pronta a tutto pur di soddisfare i suoi avventori, e poi entra a far
parte di un sexy musical in un famoso casinò. Grazie alla sua mancanza di
scrupoli riuscirà a scalzare (con un colpo basso) l’arrogante star dello show,
prendendone il posto. Ancora non paga diventerà pure l’amante prediletta del
direttore della casa da gioco, facendo un altro sgambetto alla sua rivale. Ma dopo
aver raggiunto il successo a cui ambiva dovrà presto fare i conti con la
rapacità del mondo in cui ha deciso di entrare. Un mondo che, proprio come lei,
non guarda in faccia a nessuno. Showgirls,
film scandalo annunciato del ’95, è un’opera emblematica della carriera di Verhoeven,
regista sanguigno e di indubbio talento ma che non sempre riesce a declinare in
pellicole totalmente convincenti. E questa sua incursione nello sporco mondo
delle lap dancers di Vegas non fa
eccezione, anzi segna un evidente passo indietro rispetto ai suoi standard.
Pruriginoso nel look, patinato nella confezione grafica e furbescamente
disonesto nei suoi ammiccamenti sexy (che fingono di esaltare la libertà
sessuale della donna, quando invece ne mortificano la dignità attraverso una dissoluta
mercificazione), questa grossolana fiera del banale, del kitsch e dell’eccesso
godereccio è un misto tra un Eva
contro Eva in salsa cinico cafonal
ed un Flashback rimaneggiato in stile
“porno soft”. I dialoghi sono
risibili, le situazioni costantemente spinte al limite di un erotismo becero e i personaggi, tutti monodimensionali, sono relegabili in tre categorie:
belle ingenue (Molly), belle sgualdrine (tutte le altre) o “papponi” spietati. L’autore
intende denunciare la volgarità di un mondo tutto lustrini e depravazione, ma cade in pieno nello stesso vizio
oggetto della sua critica. Difficile dire quanto ci sia di voluto e quanto di
maldestro. Il finale moralistico e totalmente inverosimile è il definitivo colpo di grazia all'intelligenza dello spettatore. Tra gli attori la protagonista Elizabeth Berkley si dà un gran da
fare a sgranare i suoi occhioni blu e a dimenare le sue indubbie grazie fisiche
per colpire nel segno, ma quando deve recitare si ride di gusto e ci si rende
conto di trovarsi di fronte a una pessima copia di Sharon Stone (infatti chi
ne ha più sentito parlare di questa bella bionda del Michigan ?). Viene da
chiedersi cosa ci facesse Kyle MacLachlan in questo film, quello che è certo è che
passare da Lynch a un disastro del genere è davvero un bel salto indietro. Pellicola
indifendibile e massacrata all’unanimità da critica e pubblico (vinse tutti i
Razzie Awards dell’anno 1995), vale solo come scult che potrebbe essere apprezzato da un pubblico facilone in
cerca di grossolani brividi erotici. Ma di carne al vento ce n’è così tanta che
ci si stanca presto.
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