giovedì 21 aprile 2016

Signore & signori (Signore & signori, 1966) di Pietro Germi

Tre episodi per tre storie di corna in una provincia veneta ipocrita e perbenista dove, tra pettegolezzi e tradimenti, le cose si fanno ma non si dicono e l’importante è sparlare degli altri, mantenendo “immacolata” la propria facciata. Un astuto dongiovanni seduce la moglie di un amico facendogli credere di essere impotente. Un umile bancario, vessato da una tirannica moglie, sogna di fuggire via con una bella e compiacente cassiera di bar, ma dovrà rinunciare ai suoi progetti a causa dello scandalo montato ad arte dall’abile consorte. Quattro “vitelloni” impenitenti sono accusati di aver approfittato di una minorenne ingenua, mettendola incinta, ma la chiesa locale mette tutto a tacere, per evitare di dare risalto all’indecenza, e convince il padre della ragazza a ritirare la denuncia, in cambio di un cospicuo pagamento in denaro. Formidabile ritratto in nero della provincia italiana, dipinta con perfido cinismo caustico da questa graffiante satira di costume di Germi, che, dopo aver a lungo esplorato la meschinità degli ambienti siciliani, si dedica stavolta a quelli del più ricco ed evoluto nord est, focalizzandosi sul Veneto, in una città che, sebbene mai nominata, dovrebbe essere Treviso. Il grande autore genovese ha vissuto un lungo e costante rapporto di amore/odio nei confronti del provincialismo del “belpaese”, dimostrandosi verso di esso ora feroce ora sardonico, ma giammai complice. Tra i suoi tanti memorabili ritratti sarcastici sui vizi della nostra “italietta” questo è, probabilmente, il più maturo, il più complesso, il più compiuto e anche il più cattivo. Il tocco di genio dell’opera consiste nella prospettiva che ci viene offerta, quella privilegiata della “piazza”, con tutto il suo sottobosco di chiacchere, la sua apparenza di buone maniere e il suo conformismo ruffiano, che viene inflessibilmente sorvegliato dagli organi religiosi, che si adoperano ligi affinché tutto lo sporco resti sempre ben nascosto sotto il “tappeto” della pubblica ipocrisia. Scritto da Germi insieme a Luciano Vincenzoni e Age & Scarpelli, questo film è uno dei vertici assoluti della Commedia all’Italiana degli anni ’60, il cui desolante affresco di ordinario squallore è perfettamente incastonato nell’estetica convulso grottesca tanto cara al regista. E’ anche l’ultimo capolavoro del grande autore ligure che, nelle opere successive, vedrà l’inizio della fase calante della sua carriera. Del cast citiamo Virna Lisi, Gastone Moschin (che interpreta egregiamente il solo personaggio “positivo” della pellicola), Alberto Lionello, Franco Fabrizi, Nora Ricci e Gigi Ballista. Il film fu premiato con la Palma d'oro al Festival di Cannes ex aequo con Un uomo, una donna di Lelouch.

Voto:
voto: 4,5/5

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