lunedì 4 aprile 2016

Primo amore (Primo amore, 2004) di Matteo Garrone

Vittorio, orafo vicentino, persegue un ideale di donna con morboso integralismo, ossessionato dall'estrema magrezza. La giovane commessa Sonia, conosciuta tramite un annuncio su una rivista per cuori solitari, rimane irretita dal lato oscuro dell’uomo e accetta di compiacerlo in un “gioco” dapprima eccitante ma poi sempre più estremo, con evidenti implicazioni psicopatologiche. La donna si sottopone a una dieta ferrea e, per amore di Vittorio, inizia a perdere peso in modo vertiginoso, fino ad arrivare a pesare solo 40 chilogrammi. Sarà l’inizio di un’ossessione che travolgerà entrambi. Ispirandosi al romanzo “Il cacciatore di anoressiche” di Marco Mariolini, Garrone porta sullo schermo un cupo dramma antropologico di matrice psicoanalitica sul tema dei rapporti “malati” e delle incomprensibili simbiosi che scattano tra due psicologie in determinate condizioni, portandole su un terreno di incontro/scontro sessuale ai margini, dove convergono molteplici aspetti dell’io erotico: feticismo, sadismo, masochismo, trasgressione, dominazione. Il morboso rapporto tra Vittorio e Sonia diventa emblema del dark side della provincia italiana, tipicamente ipocrita nella sua facciata conformista, ma anche ricettacolo di pulsioni nascoste e di antiche repressioni, pronte a sconvolgere l’opinione pubblica quando vengono a galla. I due personaggi sono entrambi profondamente infelici e disperatamente soli, tutti e due sono schiavi di un tarlo interiore che sfocia nel malessere psicologico, sebbene in forme opposte: attivo e dominatore lui, passiva e succube lei. Girato con uno stile rigoroso e con stringata densità narrativa, Primo amore ha una prima parte impeccabilmente inquietante nella sua lucida progressione, in cui l’occhio registico scava implacabile nella psiche dei personaggi con un puntiglio più entomologico che voyeuristico. Il fine della ricerca del regista non è solo l’analisi di un rapporto insano o la denuncia di un problema serio come quello dell’anoressia, ma, allo stesso modo, il tentativo, quasi alchimistico, di mettere a nudo la sottile relazione tra carne e mente, tra spirito e materia, la quintessenza dell’idealizzazione erotica. Quello che Vittorio cerca di fare con Sonia è un processo vicino a quella purificazione vagheggiata dagli scultori rinascimentali che ricercavano la forma pura, la bellezza intrinseca già presente nella foggia grezza di marmo, eliminandone le parti superflue con l’utilizzo certosino dello scalpello. Allo stesso modo la figura di Sonia possiede l’aura mistica del martire che cerca di annullare sè stesso attraverso la sofferenza, in nome di un ideale superiore che confina con il delirio ascetico. La prossimità stridente di questi concetti spirituali con l’evidente natura sessuale del film è il suo punto di forza migliore, perché gli conferisce una fertile e stimolante ambiguità ideologica che nasce dal contrasto tra elementi solo in apparenza eterogenei, ma invece intimamente collegabili vista la connessione tra psiche ed Eros, con l’ombra di Tanathos in perenne incombenza. Peccato che, nella seconda parte, l’opera perda forza e patos, abbracciando una ricerca esasperata della carnalità ed una ripetitività rituale del “gioco” tra i due, che finisce per anestetizzare l’interesse dello spettatore. Ciò provoca un senso di distacco, con qualche caduta nel ridicolo involontario che indebolisce l’ambiguo apparato allegorico messo in piedi nella fase iniziale. In ogni caso Garrone conferma il suo istintivo talento autoriale, il suo sguardo cupamente introspettivo e la sua capacità di dirigere gli attori che qui danno il meglio di sé: dal tenebroso Vitaliano Trevisan all’intensa Michela Cescon che, quasi sempre nuda in scena, si è concessa con ammirevole dedizione alla causa del film. La sequenza più riuscita è quella della gita in barca, in cui i due amanti riflettono sul loro rapporto ossessivo e l’occhio registico decide di sfumarne i volti, trasformandoli in anonimi fantasmi in balia di un male di vivere profondo, di cui il sesso costituisce solo la punta dell’iceberg.

Voto:
voto: 3,5/5

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