martedì 19 aprile 2016

Belli e dannati (My Own Private Idaho, 1991) di Gus Van Sant

Mike e Scott sono due giovani, sbandati e tossicodipendenti, che si prostituiscono in strada, vendendo il loro corpo a uomini e donne, per trovare i soldi per la droga. Mike è malato di narcolessia, si addormenta di colpo quando è sotto stress e, quindi, perde spesso il senso dell’orientamento. Scott è di famiglia agiata, con un padre sindaco dispotico che non ne ha mai saputo capire il disagio interiore. Legati dalla complicità della vita di strada ma anche da un forte sentimento (Mike è innamorato di Scott), i due condividono un lungo viaggio attraverso gli USA fino all’Italia, alla ricerca della madre di Mike, che lo ha abbandonato da piccolo. Giunti a Roma, il più cinico Scott perde la testa per una ragazza italiana e lascia da solo l’amico, abbandonandolo al suo destino da reietto, tra droga e prostituzione. Scioccante dramma esistenziale sul mondo del degrado giovanile, di quei figli ribelli e maledetti di un’America indifferente e opulenta, che ha costruito il suo futuro sul materialismo, sull’arrivismo e sulla prevaricazione, dando origine a generazioni di sbandati viziati e senza speranza, incapaci di confrontarsi con questo mondo spietato. L’analisi del regista è lucida e cruda, tra Pasolini, Warhol, Welles, Lynch, Lewis Carroll e con vaghe suggestioni shakespeariane (il personaggio di Scott è in parte modellato sul principe Hal della tragedia “Enrico IV”). Il ritratto di questi giovani emarginati e sessualmente famelici è di quelli che restano, vivido e struggente, a tratti raffinato nella sua prospettiva omosessuale con suggestioni psicoanalitiche. Lo stridente contrasto tra le tematiche sordide e la sontuosa confezione figurativa dell’opera (che si avvale di geniali invenzioni registiche e di esuberante visionarietà), conferisce al tutto un magnifico taglio straniante ed un fascino spudorato, che ne ha sancito lo stato di cult assoluto presso il pubblico giovanile. La furiosa fotografia pittorica, densa di cromatismi violenti ed esasperati, va letta nell’ottica dello stato perennemente allucinato del protagonista Mike, dovuto sia all’abuso di droghe che alla sua patologia che ne accentua lo smarrimento. Il film procede formalmente tra la ricercatezza del ritratto barocco e la crudeltà del documentario realistico, con una visione diadica in costante oscillazione tra sogno e realtà, normalità e alienazione, ricchezza e povertà, intimità e distanza. Mike e Scott sono i due poli dell’oscillazione: il primo cerca con rabbia una normalità negata a cui anela da sempre e che idealizza nella figura di una madre perduta. Di contro il narcisistico Scott cerca di rinnegare le sue radici borghesi, forse per punire inconsciamente il ricco padre che nella vita gli ha saputo dare soltanto ordini e beni materiali. La dimensione onirica che permea il film è intimamente connessa al personaggio di Mike, mentre Scott è, evidentemente, in sintonia con il realismo, con la distanza e con il freddo calcolo. Il mondo idealizzato dell’infanzia a cui Mike cerca di tornare (quell’Idaho privato a cui si riferisce il titolo originale, il cui senso profondo viene totalmente perduto nel discutibile e banalissimo titolo italiano) rappresenta l’archetipo ancestrale di tutte le mitologie americane (terra, casa, famiglia). Questo è il film più intimo e privato dell’autore, quello in cui egli si abbandona liberamente ai ricordi, agli incubi, ai suoi gusti estetici e alla sua visione dell’omosessualità. Non a caso una delle sue ambientazioni è Portland, la città dove Van Sant vive e lavora da anni. La sessualità trasgressiva mostrata nella pellicola non è mai ammiccante o volgare, ma glaciale e distaccata. I corpi sono raffigurati come statici e androgini, quasi privi di sessualità e, più che all’erotismo, fanno pensare alla morte. Nel cast ci sono River Phoenix (autore di un’interpretazione straordinaria), Keanu Reeves, James Russo e la nostra Chiara Caselli. Il compianto River Phoenix, da molti indicato come possibile erede di James Dean (con cui ha condiviso il tragico destino di morte prematura), vinse, per questo ruolo, la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile alla Mostra del Cinema di Venezia. Questo intenso ritratto onirico di un’America sfrontata e maledetta ha consacrato definitivamente il suo autore come uno tra i più grandi esponenti del cinema indipendente d’oltre oceano.

Voto:
voto: 4,5/5

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