Una visione potente, affascinante,
inquietante ed indimenticabile, racchiusa in soli 28 minuti, ovvero la durata di
questo cortometraggio, senza dubbio il migliore che sia mai stato girato,
definito dal suo autore un “cineromanzo” per la particolare struttura
narrativa: un insieme di fotogrammi statici, montati in sequenza e con una voce
fuori campo che racconta la storia. Nel film compare anche una solo sequenza
filmata, per concedere il massimo risalto espressivo al climax emotivo
dell’opera. Cercando nuove forme espressive e inediti linguaggi
cinematografici, sull’onda culturale della fiorente Nouvelle Vague francese, il regista ha realizzato un’opera
ipnotica, di assoluto spessore tecnico, di altra astrazione simbolica e di
profonda fascinazione tematica; un breve film di fantascienza distopica sospeso
tra la psico-favola e la poesia onirica, l’apocalisse e l’idillio surreale. E’
una delle vette indiscusse della cinematografia weird, che ha profondamente influenzato pellicole ben più
commerciali e famose, come L’esercito
delle 12 scimmie di Terry Gilliam, che ne costituisce una sorta di remake
in stile americano. Ambientato in un futuro imprecisato, in una Parigi post
catastrofe nucleare, dove i sopravvissuti vivono come ratti, costretti in
rifugi sotterranei a causa delle radiazioni che hanno contaminato l’ambiente
esterno, è una vicenda che mescola, con forti suggestioni, il dolore personale
con il destino della razza umana. Il protagonista è un uomo, senza nome, dotato
di un forte potere d’immaginazione, che viene sottoposto a dolorosi esperimenti
da scienziati che vogliono riportarlo indietro nel tempo, all’origine
dell’olocausto atomico che ha distrutto il pianeta, cercando di modificare gli
eventi e, quindi, il futuro. L’uomo ha delle ricorrenti visioni del passato, in
cui vede se stesso bambino con i suoi genitori, nell’area d’imbarco
dell’aeroporto parigino di Orly (“jetée” in francese significa “molo
d’imbarco”). Lì assiste ad un incidente, uno sconosciuto che viene ucciso
attirando l’attenzione della folla, mentre lui continua, imperterrito, a
fissare una donna misteriosa, che cattura totalmente la sua attenzione
infantile. I viaggi nel tempo lo ricondurranno in quel luogo fatale, dovrà avrà
modo, da adulto, di conoscere la donna e trascorrere del tempo con lei,
generando un forte contrasto tra il passato di pace, la dimensione della donna,
ed il suo futuro post apocalisse nucleare, che ne ha segnato inesorabilmente la
coscienza. Il grottesco rapporto tra il viaggiatore e gli scienziati, scandito
da uno slogan in tedesco che scorre di continuo come se fosse un mantra,
rappresenta una graffiante critica storica dell’autore al governo di Vichy, che
guidò la parte libera della Francia durante l’occupazione nazista. Con un
perfetto meccanismo geometrico, che chiude il cerchio dell’opera in un
allegorico loop che imprigiona i
personaggi, senza concedergli via di fuga, Marker disvela, anticipando
l’autoconsistenza novikoviana, il paradosso ideologico insito nell’ipotesi del
viaggio nel tempo, ovvero l’immutabilità del passato. Lo stile “fotografico”,
che racconta la storia attraverso diapositive, ha il rigore raggelante di un
documentario della memoria, che ferma gli istanti, cristallizzandoli per un
attimo prima del frame successivo, cercando di rappresentare un modello teorico
per il complesso rapporto tra immagini e ricordi, sulla cui inconscia
iterazione si fonda l’umana coscienza di sé. E’ dunque corretto affermare che,
ad un certo livello, questo film memorabile è una metafora della coscienza
umana, eternamente persa nel labirinto sogno-realtà. Nel film è presente un
dichiarato omaggio al capolavoro hitchcockiano Vertigo,
di cui viene replicata fedelmente la scena in cui James Stewart mostra a Kim
Novak la sezione del tronco d’albero per leggerne l’età e trovare, quindi, una
simbologia del tempo. Il recente, e un po’ sopravvalutato, Lo zio Boonmee che si ricorda delle sue vite precedenti di
Apichatpong Weerasethakul, vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes
nel 2010, fa una lunga citazione/omaggio a La
jetée in una celebre scena. Purtroppo quest’opera è quasi sconosciuta ai
non cinefili, ma il suo recupero è d’obbligo.
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