Charlot lavora, come operaio, alla catena
di montaggio di una fabbrica, regolata da ritmi di lavoro disumani e dalla
corsa alla meccanizzazione, per ottimizzare il profitto a danno della dignità
dei lavoratori. Viene usato come cavia per mostrare il funzionamento di un diabolico
macchinario, che serve ad evitare lo “spreco” di tempo della pausa pranzo delle
maestranze, ma finisce inghiottito negli ingranaggi. Licenziato, s’innamora di
una ragazza e prova a iniziare con lei una vita nuova, da uomo libero.
Nonostante le difficoltà e le preoccupazioni per il futuro, i due
s’incamminano, a braccetto e colmi di speranza, verso il loro avvenire.
Capolavoro assoluto di Chaplin e ultimo film in cui compare il leggendario
personaggio di Charlot. Nonostante il sonoro fosse già entrato,
prepotentemente, nelle produzioni cinematografiche, il grande regista
britannico continua a prediligere i ritmi del cinema muto, a lui più
congeniali, ed in questo possente inno alla dignità dell’uomo, contro gli
abomini consumistici e l’egemonia delle macchine, bandisce i dialoghi,
limitandosi agli effetti sonori e alle musiche, bellissime, da lui stesso
composte. Lo spessore della denuncia sociale non inficia la vis comica dell’opera, anzi finisce per
enfatizzarne il valore didascalico, rivolto alle masse, agli emarginati della
Grande Depressione, ai disperati attratti dalle chimere del comunismo, perché Chaplin
è stato sempre, e in questo film più che mai, dalla parte degli umili. Chi ci
ha visto, con non poca prevenzione politica, un apologo anticapitalistico con
simpatie bolsceviche, ne ha frainteso la purezza di spirito, che, invero, non è
esente da ingenuità. La critica mordace, ma generalista, dell’autore verso il
lato perverso del progresso tecnologico è di un idealismo utopistico, che
rifiuta la lotta di classe (Charlot sogna una vita romantica ma agiata, con una
casetta rurale, mucche e grappoli d’uva fresca) e che conclude, amaramente, che
la meccanizzazione è ormai parte inestirpabile del processo produttivo,
finalizzato alla ricchezza finanziaria. Di questo formidabile e lungimirante
monito umanista, che ha anticipato di mezzo secolo gli eventi reali, sono
rimaste memorabili due sequenze in assoluto: Charlot stritolato dai macchinari,
in un surreale “balletto” di grande forza comica e di corrosiva vena satirica,
ed il finale poetico, che apre alla speranza, con l’uomo e la donna che, in
ombra e di spalle, procedono verso il futuro: una lunga strada con la luce
abbacinante all’orizzonte. Non ci poteva essere uscita di scena più bella,
teatrale e simbolicamente pregnante per il suo più famoso ed amato personaggio, il tenero
Charlot, malinconico simbolo di un’epoca d’oro del cinema dei pionieri.
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