Sette
vecchi compagni di college, reduci dal ’68 e dalle feroci contestazioni
giovanili, si ritrovano, 15 anni dopo, per un weekend in occasione del funerale
di un comune amico, morto suicida. Ormai imborghesiti e disincantati i sette
ricordano gli antichi ardori e tracciano un bilancio malinconico sulle loro
vite. Intenso ritratto generazionale, in breve assurto a culto per i nostalgici
dell’utopia liberale degli anni ’60, diretto con sagacia da Lawrence Kasdan e
interamente poggiato sulle spalle, forti, di un cast spettacolare ed in grande
spolvero per l’occasione: Glenn Close, William Hurt, Jeff Goldblum, Kevin
Kline, Tom Berenger. Arricchito da dialoghi pungenti, una sottile carica
erotica che striscia sotto pelle ed un brillante commento musicale, è una
commedia agrodolce a due livelli: da un lato c’è il rendiconto, in perdita, di una generazione disillusa e
dall’altro il vitalismo inquieto di chi ha paura di invecchiare. Tanto
brillante quanto furbo, e quindi a forte sospetto d’essere sopravvalutato, è
scritto talmente bene da apparire quasi artificioso in taluni passaggi, sebbene
la contagiosa atmosfera di nostalgica leggerezza e l’estrema eleganza della
messa in scena incoraggino l’indulgenza del giudizio. Ha lanciato nel
firmamento hollywoodiano una grande generazione di attori ed è anche famoso per
la presenza “invisibile” di Kevin Costner, nel ruolo del suicida: di lui si
vedono solo i polsi, tagliati, ad inizio film; mentre tutte le altre scene
girate, che dovevano apparire in flashback, furono rimosse dal montaggio
finale. Ebbe tre candidature agli Oscar 1984 (film, sceneggiatura e Glenn
Close) senza portare a casa alcun premio.
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