Roma, secondo
dopoguerra: Irene è la moglie felice di un diplomatico straniero, che ha una
vita agiata fino a quando un tragico evento, la morte del figlio dodicenne dopo
un tentato suicidio, ne sconvolge per sempre l’esistenza. Afflitta dai sensi di colpa la donna rimette
in discussione tutta la sua vita e decide di donarsi totalmente agli altri, ai
sofferenti, ai bisognosi, finendo per annullare del tutto se stessa, tra lo
sconcerto generale e l’incomprensione del marito. Ispirandosi alla figura della
mistica francese Simone Weil, Rossellini ha tratto un dramma esistenziale teso
ed asciutto, che rinuncia ad ogni velleità spettacolare per una messa in scena asettica
e scarnificata, che mira all’essenza e porta alla massima esasperazione
l’estetica neorealista. Opera spartiacque nella filmografia di Rossellini,
segna il passaggio ad un cinema più rarefatto e intriso di suggestioni
psicologiche che indagano, parallelamente, la realtà esteriore e la dimensione
intima dei protagonisti. In tal senso la sua influenza su cineasti come Bresson
o Antonioni è innegabile. Interamente costruito sulla protagonista, una Ingrid
Bergman intensa e radiosa, che qui ci regala una delle prove più memorabili
della sua carriera, è un accorato percorso interiore che parte dal dolore
disperato e si sublima in un misticismo laico in bilico tra catarsi e follia. Da
un regista non credente come Rossellini, questo film dal realismo severo, che
scava nella coscienza umana, usando suggestioni metafisiche, appare come un
estremo atto di coraggio, tra l’altro fortemente sentito perché l’autore ha
provato un’esperienza simile a quella della protagonista: la scomparsa
prematura di un figlio. Aspramente criticato alla sua uscita per la sua alta
pretenziosità, ebbe una lavorazione travagliata con una sceneggiatura dai molti
padri, tra cui Fellini, Pinelli, Dreyfus e lo stesso regista, ma il suo valore
fu ampiamente riconosciuto solo tardivamente. Nel 2005 Ferzan
Özpetek ne ha tratto un anonimo “clone”, Cuore
Sacro, con Barbora Bobulova.
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