Jonathan Harker, agente immobiliare,
viene inviato dalla Germania nei Carpazi per vendere una casa al misterioso conte
Dracula, che è, in realtà, un vampiro: Nosferatu. Il diabolico conte vampirizza
Harker e poi, invaghitosi di un ritratto di Lucy, sposa della vittima, parte per
la sua città alla sua ricerca. Il suo arrivo
porterà un'epidemia di peste, l’orrore e la morte. Fenomenale remake del Nosferatu
di Murnau, capolavoro assoluto dell’horror, è anch’esso un capolavoro e,
probabilmente, il miglior remake mai realizzato. Diretto da Herzog con passione
e personalità, guarda con sacrale rispetto al grande predecessore originale, ma
ne modifica i nomi dei personaggi, riportandoli a quelli reali del romanzo
ispiratore di Bram Stoker, “Dracula”, visto che la questione dei diritti
d’autore era ormai decaduta. Pur replicando ossequiosamente la trama
sostanziale, le atmosfere e diverse sequenze mitiche del masterpiece di Murnau, Herzog ha il carisma ed il talento necessari
per fare un film coraggioso, stupefacente, che sa reggersi sulle proprie gambe
ed intraprende persino nuove ammalianti direzioni. Assolutamente superlative le
ambientazioni decadenti, le suggestioni mefitiche, l’estetica raggelante,
l’aura malata, che emana da ogni immagine morte e putrefazione. Altresì
straordinari i lunghi silenzi, che donano un fascino antico ed ipnotico a
quest’attualizzazione del mito vampirico, intervallati dall’inquietante colonna
sonora dei Popol Vuh, che rimanda ai requiem classici ed assume, a tratti, la
connotazione di un “personaggio” aggiuntivo, tale è la sua pregnanza evocativa.
Memorabile l’interpretazione di Klaus Kinski, attore “feticcio” di Herzog,
amato e odiato, che quasi eguaglia la sinistra figura iconica di Max Schreck,
regalandoci un Nosferatu orripilante, stanco, depresso e malinconico. Nel cast
pregevole brillano comunque un po’ tutti: da Bruno Ganz a Isabelle Adjani,
senza dimenticare il sorprendente Roland Topor, nel ruolo di Renfield. Fin
dall’originale prologo ci rendiamo conto della potenza assoluta di quest’opera,
con il volo dei pipistrelli al rallentatore e le mummie in primo piano che
accompagnano i titoli di testa, realizzando un incipit così suggestivo da
ascriversi nell’antologia del cinema horror. Eccezionale, nel suo macabro
potere visionario, anche la scena delle festa di piazza, a Wismar, in “onore”
della morte venuta sotto forma di peste, come colto richiamo ai “Totentanz” di Franz
Liszt. Ed infine il finale, meraviglioso, straniante ed onirico, la cavalcata
verso il nulla sotto un cielo “stregato”, che svela, finalmente, la natura
filosofica dell’opera, come grande metafora della solitudine eterna dell’uomo
di fronte al creato ed al suo atroce destino.
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