Lo scrittore Paul Javal, che vive a Roma
con la bella moglie Camille, viene chiamato dal produttore americano Prokosch
per scrivere un adattamento de “L’Odissea”, da cui trarre un film diretto da Fritz
Lang. Durante i primi contatti con produttore e regista, tra Cinecittà e
l’isola di Capri, la coppia appare in crisi profonda e Paul sembra non battere
ciglio di fronte alla corte assidua di Prokosch nei confronti di Camille. Nel
giro di due giorni avverrà la rottura sentimentale e la donna lascerà l’isola
campana insieme al produttore, in direzione Roma. Dal romanzo omonimo di
Alberto Moravia, Godard ha tratto uno dei film più famosi, più costosi e di
maggior successo della sua carriera. Fu prodotto da Carlo Ponti, che avrebbe
voluto la coppia “storica” Marcello Mastroianni e Sophia Loren nel ruolo dei
due protagonisti, ma il regista optò per una soluzione diversa, e, dopo il
rifiuto di Frank Sinatra e Kim Novak, la parte andò a Michel Piccoli e Brigitte
Bardot, che qui, al massimo del suo splendore fisico, ci regala anche la più
celebre interpretazione della sua carriera. Il
disprezzo è un film solare, luminoso, mediterraneo come le sue
ambientazioni, perfettamente esaltato dalla saturazione cromatica della
fotografia in technicolor. Sotto la patina di critica al disvalore della media
borghesia europea, l’opera nasconde un sontuoso omaggio al Cinema ed al suo
ruolo, rinnovato dalla Nouvelle Vague,
di “occhio”privilegiato, attraverso cui filtrare la vita, che, in questo caso,
assume le fattezze di una tragedia. Geniale la sovrapposizione tra il film e
l’Odissea, con Lang che diventa Omero ed il tema del viaggio, fondamentale, che
si fa metafora del percorso dell’uomo occidentale, smarrito, alla ricerca di
una sua identità nel nuovo modello sociale. Il risultato è un film
stupefacente, perfetto nella sua equilibrata commistione tra modernità e
classicismo, romanticismo e realismo. Interessante la rilettura eseguita da
Godard sulla crisi della coppia moderna, alla luce del rinnovamento dei
costumi, dello sdoganamento dei tabù sessuali e dell’emancipazione femminile: accantonate
le ingenue illusioni di “amore eterno”, fondate sul vincolo del matrimonio
religioso, i segni del disagio sentimentale sono diventati più sotterranei, più
intimi, più subdoli, come evidenziato dalla lunga sequenza della “scenata”
posta, emblematicamente, nella parte centrale della pellicola e conclusa con la
celebre frase tagliente che dà titolo al film. Il disprezzo è anche un’opera carnale e, in tal senso, omaggia,
esaltandolo ed assecondandolo, il corpo statuario della Bardot in tutta la sua
prorompente carica erotica. Il personaggio di Camille è, praticamente, l’incarnazione
dell’icona “BB”, esposta al top del suo fascino divistico, nell’immaginario del
pubblico. Ponti chiese inizialmente al regista di girare tre scene di nudo
della famosa attrice, ma Godard mantenne solo la prima, famosissima, che appare
nel prologo e che è divenuta una sorta di spot della sexy diva francese. Il
rapporto professionale tra il regista e l’attrice fu comunque freddo, scostante
e numerosi sono stati gli aneddoti in merito, fuoriusciti dai “dietro le
quinte” del set. Esistono due diverse versioni del film: quella originale di
105 minuti, straordinaria, e quella italiana, pessima, inopinatamente tagliata
dal produttore di circa 20 minuti, censurando e modificando molte sequenze (tra
cui anche il famoso nudo iniziale della Bardot), al punto da disperdere il
senso reale dell’opera. Il regista ha sempre disconosciuto la versione italiana
voluta da Ponti. Nel dvd, uscito nel 2004, sono presenti entrambe le varianti. Da
segnalare, nel cast, la partecipazione del Maestro Fritz Lang nel ruolo di se
stesso e di Jack Palance, che pure ebbe un rapporto burrascoso con Godard, nel
ruolo di Prokosch.
La frase: “Quando sento parlare di cultura, metto mano al libretto degli assegni.”
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