In una
fattoria collettiva ungherese, ai tempi del comunismo, i pochi abitanti rimasti
sono in preda al degrado e alla sfiducia, abbrutiti dall’indigenza, dal vizio
dell’alcol e dalla mancanza di prospettive per una vita decorosa. Ma, un giorno,
si sparge la voce che il carismatico Irimias,
leader indiscusso della comunità dato per disperso, sta per tornare in paese
insieme al suo aiutante. Questi chiederà ai suoi compaesani tutti i loro
risparmi in cambio della promessa di un lavoro migliore e di condizioni di vita
più dignitose, lontano dal fango, dalla sporcizia e dalla puzza del letame. Ma
si tratta di un perfido inganno di cui è complice anche la polizia locale.
Memorabile epopea visiva che lascia ammirati e annichiliti per durata (ben 7
ore e 20 minuti), potenza espressiva, realismo, profondità simbolica, rigore
stilistico, analisi critica e lucidità della denuncia storica. Sospeso tra
lirismo ed ermetismo, poesia e perdizione, Angelopoulos e Tarkovski, quest’opera
capitale del grande Béla Tarr, maestro del cinema ungherese, è una tragedia storica di
metafisica astrazione e di finissima suggestione visiva, che racconta, in modo
totalizzante, la vita, quella vera, senza abbellimenti e senza sconti,
includendo tutto: il dolore, la sporcizia, la miseria, la noia. Pur
descrivendo, impietosamente, il crollo dell’utopia collettivistica dei regimi
comunisti filo sovietici, è ambientato in un “non luogo” e in un “non tempo” di
ipnotica rarefazione, un’astrazione visionaria che intende fornire all’opera
un’aura solenne e universale, elevandola a tragedia esistenziale sulle illusioni
umane, sulla malvagità del prossimo, sull’indifferenza della natura e sulla
crudeltà della morte. La struttura della pellicola, come suggerito dal titolo,
è ispirata al tango, ovvero al suo tipico movimento: infatti l’opera è
suddivisa in 12 capitoli, in cui domina l’utilizzo esasperato del piano
sequenza per favorire l’immersione realistica dello spettatore, con 6 di questi
che vanno cronologicamente in avanti e 6 che vanno all’indietro in un’oscillazione
di fervida altezza creativa che si contrappone all’inerzia ferale dei reietti
abitanti del villaggio rurale. Ma l’intera pellicola è un fertile incontro tra
opposti: il nulla e l’assoluto, il bene e il male, l’utopia e la concretezza,
la speranza e la disperazione, la fiaba e l’incubo, in un moderno colosso
artistico che può competere con le grandi opere omnie del passato che hanno fatto la
storia del cinema. Angoscianti e bellissime le ambientazioni cupe, impaginate
da una meravigliosa fotografia in un bianco e nero spettrale, della puszta ungherese fangosa e inseminata,
perennemente spazzata dalla pioggia e dal vento. E’ indubbio che si tratta di un film
difficile, impegnativo, ermetico e di grande onere intellettuale, già solo per
la sua incredibile durata che spaventerebbe anche il cinefilo più incallito e
preparato. Ma la visione ripaga totalmente lo “sforzo” sostenuto, regalando un’esperienza
indimenticabile, assoluta e di memorabile intensità, una sorta di Apocalisse
dei sensi di magistrale perfezione estetica che ci mette a confronto con la Storia e con l’Uomo in una
maniera che ha pochi eguali. Tra le tante scene fenomenali è impossibile non
citare il piano sequenza d’apertura, con la macchina da presa che si muove di
fianco alle mucche e ci offre la prospettiva dello spazio dell’azione o quella,
lunghissima e ipnotica, del ballo contadino, con l’alcol che scorre a fiumi, la
cui ridondanza formale intende “ubriacare” anche lo spettatore massimizzando la
compenetrazione empatica. Mai distribuito in Italia (a parte il
solito provvidenziale "Fuori Orario" di Ghezzi), è reperibile, dal 2012, in un’eccellente versione
DVD in lingua originale, ungherese, con sottotitoli in italiano.
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