Parigi, anni ’30: Victoria, cantante
disoccupata finita in miseria, si lascia convincere da un cabarettista
omosessuale a fingersi un uomo, con tendenze gay, che si traveste da donna.
Nasce così il personaggio di Victor, ballerino e cantante, che riscuote un
enorme successo nei locali notturni parigini grazie alla sua ambigua carica
sensuale. Ma le cose si complicano quando un boss mafioso americano,
invaghitosi di lui/lei, inizia a indagare per svelarne la vera identità
sessuale. Sfavillante commedia sofisticata di Blake Edwards, uno dei maestri
del genere, tra le migliori degli anni ’80 e della carriera del regista. Sotto
la patina luccicante si nasconde una caustica critica alla morale perbenista ed
alla sua connaturata tendenza a giudicare, etichettare, bandire, in base alle
apparenze. È il remake (anzi il “travestimento”) di Viktor und Victoria, film del 1933 di Reinhold Schünzel, ma nettamente
superiore all’originale per esuberanza visiva, erotismo conturbante, ricchezza
scenografica, capacità inventiva, ritmo coinvolgente, eleganza formale e interpretazioni
degli attori (straordinarie le performance di Julie Andrews e di Robert Preston).
Il complesso gioco di trasformismi alla base dell’opera, una donna che si finge
un uomo che si finge una donna, diventa una sapiente metafora dell’illusione
alla base della fiction
cinematografica: l’auto convincimento, da parte dello spettatore, della realtà
di una finzione. Nonostante le consuete gag, tipiche dell’autore e qui
particolarmente incisive, disseminate nella pellicola, l’alta tenuta registica
riesce a garantire una solida adesione tra il registro brillante e quello psicologico,
con conseguente agile mescolanza tra malinconia e comicità. Candidato a 7 premi
Oscar nel 1983, vinse solo quello per la colonna sonora del grande Henry
Mancini, condiviso con Leslie Bricusse.
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