Vittorio Cataldi, detto "Accattone", è un sottoproletario di una borgata romana che vive di espedienti,
sbarcando il lunario tra furti, imbrogli e volgare indolenza. Sfrutta le donne,
costringendole a prostituirsi e pretendendo il compenso per la sua “protezione”,
fino a che s’innamora di Stella, che cerca di convincerlo a cambiar vita trovando
un lavoro onesto. Finale tragico. Straordinario esordio cinematografico di
Pasolini con quest’opera capitale, ritratto realistico e feroce di un mondo
parallelo e degradato, le fatiscenti borgate romane, coacervo di sbandati, disperati
e disadattati, negli anni del boom economico. Sospeso tra lirismo tragico e
neorealismo postumo, supera le intenzioni del celebre movimento che fece grande
il cinema italiano negli anni ’40 e ’50, esasperandone tematiche, toni e
risultati, e dando vita ad un ritratto crudo e selvaggio di quel mondo, tanto
brutale quanto puro, che l’autore conosceva perfettamente per frequentazione
diretta ed empatia affettiva. Lucido e spietato nella sua analisi sociologica e
nella sua veemente denuncia civile, il film non nasconde uno sguardo
compassionevole nei confronti del protagonista che è sì un barbaro reietto ma
anche una vittima del sistema politico capitalistico che, mentre costruisce
l’Italia del "benessere" e la borghesia di domani, lascia ai margini le classi
subalterne, condannandole all’inferno quotidiano. Sono stati pochi gli esordi
cinematografici di cotanto spessore e di tale deflagrante impatto sulla
cultura, sul pensiero e sull’emotività popolare. In tal senso Accattone appare come la naturale traduzione
in immagini dei primi due controversi romanzi dell’autore: Ragazzi di vita e Una vita
violenta, che affrontano entrambi, dal di dentro, la dura realtà delle
borgate capitoline: un mondo acre e violento fatto di miseria, sporcizia,
degrado morale, appetiti bestiali ma anche di un’ingenuità primordiale e di una
libertà selvaggia, a loro modo assolute, perché non corrotte dall’arrivismo rapace del consumismo borghese che tutto omologa, conforma e, quindi, spersonalizza. Accattone possiede il rigore del documento
e la passione del romanzo ed innalza una piccola anonima storia di ordinario
squallore in una parabola ieratica, di alto spessore tragico e di magistrale
densità tematica, che vira nell’epico e sfiora il religioso, assumendo i
contorni di un dramma esistenziale assoluto, un’odissea fatale alla ricerca
della Grazia, catarsi che, però, non spetta agli emarginati,
condannati a priori. Con uno stile spartano ma poetico, Pasolini pone le basi
della sua estetica grazie ad una fotografia spettrale, un montaggio frenetico e
l’audace accostamento tra le immagini "sporche" e la purezza sacrale delle
musiche di Bach, un ossimoro pregno di fervida creatività visionaria. Girato in
economia nei luoghi simbolo della periferia romana (Casilina, Centocelle, il
Pigneto, borgata Gordiani, la
Marranella), con attori non professionisti (tranne il
bravissimo Franco Citti nel ruolo di "Accattone"), fu duramente contestato, per
motivi politici, alla sua uscita ed ebbe grossi guai con la censura (come tutte
le successive opere dell’autore) che portarono addirittura ad un temporaneo
ritiro dalle sale. Resta, a tutt’oggi, un capolavoro scomodo ed un’istantanea
insuperabile di una realtà sociale "maledetta", perennemente tenuta nascosta
dal moralismo politico di quegli anni: la Roma delle baracche, la Roma di fango e di stracci, la Roma dei campi sterrati e dei "montarozzi", la Roma ormai
dimenticata, fagocitata dal cemento di nuovi ghetti in cui seppellire i sogni
dei "randagi" metropolitani.
Voto:
Nessun commento:
Posta un commento