L’agente assicurativo Walter Neff perde
la testa per la conturbante Phyllis Dietrichson, moglie insoddisfatta di un suo
cliente. I due, travolti dalla passione, diverranno amanti e, su idea di lei,
metteranno in atto un diabolico piano per eliminare il marito, inscenando un
incidente ferroviario, ed incassare la sua assicurazione sulla vita, ottenendo
addirittura il doppio dell’indennizzo previsto dalla clausola. Ma uno zelante
collega di Neff, insospettito dagli eventi, riuscirà a smascherare i due
assassini. Tratto dal romanzo breve di James Cain, “La morte paga il doppio”, e sceneggiato, insieme al regista, dal
grande Raymond Chandler, uno dei padri letterari del poliziesco nero americano
(il così detto “hard boiled”), La fiamma del peccato è il primo noir di
Wilder, maestro indiscusso della commedia brillante, che però raggiunse i suoi più alti risultati
artistici proprio nel genere noir. Ambientato quasi tutto di notte, in una cupa
Los Angeles i cui ambienti esterni vennero ricostruiti in studio, con una
spiccata predisposizione estetica ai contrasti chiaro scuro, una vorticosa
struttura a flashback e dei personaggi fortemente caratterizzati, questo
formidabile nero d’autore rappresenta una pietra miliare della filmografia del
crimine e uno dei più grandi noir di ogni tempo. Teso ed asciutto, con delle
atmosfere morbose che ruotano abilmente intorno agli archetipi del genere (amore
impossibile, passione violenta, tradimento, avidità, omicidio), è passato alla
storia per la formidabile interpretazione di Barbara Stanwyck, che ci regala una
memorabile dark lady dal fascino
letale, in grado di stregare anche il pubblico, oltre che lo sciagurato Neff.
La perfida caratterizzazione della Stanwyck, che generò persino delle mode,
come la celebre catenella alla caviglia, fu così ammaliante e carismatica da
influenzare, fortemente, non solo la storia del noir ma anche le successive villain femminili del grande schermo.
L’altissima eleganza formale, l’elevata incisività drammatica e lo spessore
tragico dei personaggi, figure ambigue e maledette votate all’autodistruzione
per la loro rapacità, ne hanno fatto un riferimento assoluto ed un modello
definitivo per tutto il genere “crime”,
imitato e omaggiato da una lunga serie di epigoni. Anche il resto del cast (Fred
MacMurray e Edward G. Robinson) è eccellente ed il montaggio secco, incalzante,
ci conduce inesorabilmente al tragico finale, in un avvolgente crescendo di
tensione. Tra le tante sequenze straordinarie del film voglio ricordare quella
dell’omicidio, con la camera fissa sul primo piano della Stanwyck, il cui
sguardo emana un lampo di estasi, il brivido del crimine, un orgasmo di
perdizione che provoca nello spettatore un’assoluta vertigine morale. Candidato
a sette premi Oscar rimase, inopinatamente, a bocca asciutta. Tra le tante
rivisitazioni di questo capolavoro ricordiamo il torbido Brivido Caldo (1981) di Lawrence Kasdan, che rese celebre la
sensuale Kathleen Turner, la cui performance è un’esasperazione più sfacciata
ed aggressiva, in accordo all’emancipazione dei costumi, di quella della Stanwyck.
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