Anni '20: Leonard Zelig (Woody Allen),
ebreo americano di New York, è uno strano omino con traumi infantili, carenze
affettive e la misteriosa capacità di adattarsi al suo interlocutore,
assumendone i modi e le sembianze. Ricoverato in ospedale per indagini, diviene
oggetto di studio di medici curiosi che cercano di comprendere la sua
“malattia”, convenendo, infine, di definirla “camaleontismo”, rinunciando così
ad ogni spiegazione scientifica. Divenuto famoso, grazie ai media che
amplificano la sua portentosa capacità, questo campione di conformismo viene
seguito dalla psichiatra Eudora Fletcher (Mia Farrow), che, appassionatasi al
suo caso, si convince che, dietro al camaleontismo, si cela il disperato
bisogno di essere accettato ed amato. Tra i due sboccerà l’amore e Zelig
diverrà un simbolo nazionale, con mode, balli e gadget dedicati alla sua
singolare abilità. Dopo una traumatica “guarigione”, uno scandalo sessuale, con
conseguente perdita di popolarità, ed una fuga rocambolesca dalla Germania
nazista, Leonard ed Eudora potranno, finalmente, convolare a nozze in una New
York festante. Capolavoro sarcastico di Allen sotto forma di mockumentary, più geniale che comico,
impressionante per l’impianto tecnico stupefacente, gli effetti visivi
straordinari, la progettazione concettuale di base e l’irresistibile carica
ironica. Sotto forma di satira graffiante, pervasa da un umorismo sottile, si
traveste abilmente, come il suo protagonista, da commedia colta, da love story,
da ritratto d’epoca, da falso documentario, da denuncia critica della società
americana, da parodia storica. Gioca abilmente, e mimeticamente, con lo
spettatore utilizzando le stesse “armi” del suo stravagante protagonista, la pedissequa
capacità di adattamento, che induce una vertigine ideologica, sfalsando il
piano di confine tra realtà e finzione, e celebrando il fake, il trionfo di un uomo che non ha identità, che è tutti e
nessuno, che non esiste e che può sparire da un momento all’altro, portando via
tutto con sé, compreso il cinema stesso che è suprema illusione. Ma, nel sul
livello più intimo, il film è una pungente critica al Sogno Americano, alla sua
ingenuità, alla sua matrice qualunquistica; in un’America tanto grande quanto
credulona, facile preda di effimere emulazioni di massa, la capacità di apparire
nel modo “giusto” al momento “giusto” conta più della reale identità. E’ più
importante “chi sembri” rispetto a “chi sei”. Allen lavorò lungamente
sull’aspetto concettuale dell’opera, sull’analisi certosina del materiale
d’archivio da utilizzare nel film, sulla scelta delle musiche adatte a
restituire il sapore dell’epoca, sul cast di attori non professionisti e sul
loro aspetto, in modo da evitare ogni possibile anacronismo. Grandioso il
lavoro di Gordon Willis alla fotografia, opportunamente invecchiata in modo da
rendere convincenti le sovrapposizioni di Allen/Zelig sulle immagini di repertorio,
tramite gli incredibili effetti speciali, davvero avveniristici per l’epoca. La
paradossale epopea di Leonard Zelig è arricchita da lampi surreali di fantasia
superiore e dalla presenza di veri intellettuali, nel ruolo di se stessi, per
donare credibilità all’opera. Tra questi ricordiamo Saul Bellow, Bruno
Bettelheim e Susan Sontag. Allen avrebbe fortemente voluto che la “divina”
Greta Garbo, attrice mito di quell’epoca, prendesse parte al film, ma la sua
opera di convincimento non andò in porto. Tra le innumerevoli citazioni colte,
anche di se stesso, non si possono non menzionare gli omaggi al mito Orson
Welles: Quarto
Potere, il memorabile prologo in particolare, e, soprattutto, F come falso, per la celebrazione,
contraddittoria, dell’arte come falso da utilizzare come strumento per
raggiungere la verità. Tra le tante scene rimaste famose, la più simbolica è
quella di Zelig che appare alle spalle di Adolf Hitler, durante un raduno
nazista a Monaco di Baviera. Il film fu acclamato unanimemente dalla critica di
tutto il mondo ed è, indubbiamente, l’opera più importante del grande regista
newyorkese insieme a Manhattan.
Ha dato il nome ad una malattia psichiatrica (sindrome di Zelig, ovvero trasformismo
identitario dipendente dal contesto ambientale), ad un famoso locale milanese
di cabaret ed alla celebre trasmissione televisiva di grande successo che ha lo
scopo di lanciare nuovi comici.
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