Vita pubblica e privata di Giulio
Andreotti, catalizzatore e snodo cruciale dei principali eventi della storia politica
italiana per quasi 50 anni. Il film ne racconta le vicende essenziali dei primi
anni ’90: dal suo settimo incarico come capo di governo fino al processo
palermitano per presunte collusioni con la mafia, passando per omicidi
eccellenti, aneddoti personali, la nascita della “corrente andreottiana”, la sconfitta
nella corsa al Quirinale, tangentopoli ed il presunto, famoso bacio con il boss
Totò Riina. Al suo quarto film il talentuoso Paolo Sorrentino si confronta,
coraggiosamente, con uno dei generi nobili del cinema italiano: il cinema
politico e socialmente impegnato, tra l’altro dedicato a un personaggio reale,
famoso, controverso, ovvero il politico per eccellenza della vecchia
Repubblica, Giulio Andreotti, la cui glaciale e serafica impassibilità è
seconda solo alla sua mimetica scaltrezza. Senza temere confronti con i registi
che hanno fatto la storia del cinema politico italiano (Rosi, Petri,
Pontecorvo, Damiani, Lizzani, Ferrara, Giordana), Sorrentino realizza, con
personalità e audacia, un biopic politico surreale, intriso di una pungente
cifra di grottesco che vira nell’astrazione visionaria e rende il “divo”
Andreotti una sorta di archetipo concettuale del potere e del male, simbolo
scomodo di un paese contradditorio, imperscrutabile, geniale e cialtrone, a
seconda delle situazioni. Il regista napoletano affida a Toni Servillo, suo
attore feticcio, l’arduo compito di interpretare Andreotti, sapendo benissimo
che, da questa caratterizzazione, dipende il destino del film. Servillo, come
al solito, si dimostra impeccabile, all’altezza del compito, evitando
saggiamente il rischio “Bagaglino”, ovvero della parodia tragicomica e del
ridicolo involontario. Con un’interpretazione sagace, asciutta, sulfurea, con
un efficace lavoro per sottrazione, tranne che nella scena madre del monologo
in cui assistiamo allo sfogo delirante di un uomo alla corda, salvo poi
ricomporsi subito nel consueto atteggiamento da sfinge, l’attore campano cerca
l’anima del personaggio, nascosta sotto la maschera indecifrabile, e ci regala
un Andreotti inedito, filtrato attraverso una prospettiva artistica, onirica e,
quindi, nuova. Dopo un inizio da thriller, che guarda al feroce documento di
cronaca nera, con un’efferata sequenza di delitti eccellenti che hanno scosso
la vita pubblica del “belpaese” nel corso dei decenni, Sorrentino ci immerge
subito nell’atmosfera kafkiana che sarà la cifra stilistica dell’opera, in cui
il giudizio finale e l’indignazione morale vengono lasciati allo spettatore.
Con una colonna sonora straniante ed una fotografia sontuosa, il regista
napoletano ci offre la sua pellicola migliore, la più convincente e la più
innovativa, regalandoci almeno due scene straordinarie: l’adunata della
“corrente andreottiana” , girata come un western, ed un metaforico momento di
vita privato: Andreotti e la moglie che guardano la televisione sul divano di
casa, in silenzio e tenendosi per mano, sulle note de “I migliori anni della
nostra vita” di Renato Zero. Il film ha avuto un notevole successo di pubblico
e critica ed ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio della
Giuria a Cannes, il Premio “SIAE” a Venezia, sette David di Donatello e una
nomination tecnica (per il miglior trucco) agli Oscar 2010.
Voto:
Nessun commento:
Posta un commento