Un ladro, che
fisicamente somiglia a Gesù, passa attraverso esperienze “cristologiche” che
culminano con la conoscenza di un misterioso alchimista, che lo introduce a
esperienze mistiche, tra cui l’incontro con sette signori, ognuno dei quali
rappresenta un pianeta del sistema solare. Tutti insieme partiranno verso la
leggendaria montagna sacra, cercando di raggiungere la vetta sulla quale
dovrebbero risiedere dei vecchi saggi illuminati che custodiscono il segreto
dell’immortalità. Celebre e controversa pellicola underground del bizzarro Jodorowsky, che divenne di culto già
immediatamente dopo la sua uscita, provocatoria quanto affascinante nella sua
variopinta commistione tra sacro e profano, becero e sublime, meraviglioso e
orrido. Forte di un solido impianto surrealista che guarda al Buñuel del
periodo messicano, affronta l’argomento religioso con un folle sincretismo tra
blasfemia e misticismo, sotto l’egida di un’astrazione, probabilmente troppo
pretenziosa per risultare pienamente coerente, che ricorre a simboli potenti,
visionari, oltraggiosi e scioccanti, utilizzando inserti che sconfinano
nell’horror o nel lascivo. Deve il suo successo, nei circuiti cinematografici underground, proprio a queste immagini
forti, che scossero le coscienze dei moralisti e spinsero i critici cattolici a
tacciare il film di “eresia” sacrilega. Ma la saldezza concettuale di quest’opera
allucinata e poliedrica è fuori discussione, basti citare le strepitose ambientazioni
e l’inventiva dell’apparato weird di
tutta la prima parte, l’incontro tra il ladrone e l’alchimista, interpretato
dal regista stesso, o l’umorismo grottesco, carico di una possente matrice
eversiva, dell’incontro con i sette signori, o la geniale creatività del
viaggio catartico denso di momenti tanto turpi quanto inarrivabili dal punto di
vista visionario. E’ la migliore tra le opere del regista cileno, la più
compiuta e la più matura, che contiene anche, oltre al consueto biasimo
dell’estetica del “bello” (tipicamente surrealista), forti elementi di caustica
critica sociale e politica: si pensi alla parodia della conquista del Messico
operata da rospi e iguana o ai falsi profeti, accampati ai piedi della montagna,
che promuovono paradisi artificiali, come la droga, o, ancora, ai sette
signori, che incarnano i sette maggiori poteri terreni, di cui l'alchimista
dice, rivolgendosi al ladrone protagonista, che essi non sono altro che "ladri come lui ma ad un livello più alto". E’, quindi,
un grande film di eccessi e di contrasti: volgare e psichedelico, arguto e
disturbante, sporco e spirituale, un’esperienza non facile per il pubblico mainstream ma, a suo modo,
indimenticabile, che trova il pieno riscatto teorico nel meraviglioso finale brechtiano, beffardo e nichilista, che
sancisce definitivamente il punto di vista dell’autore sull’inutilità di una
ricerca di senso nell’esistenza terrena. Il film fu finanziato da John Lennon e
Yoko Ono, che erano rimasti entusiasmati dal precedente lavoro di Jodorowsky: El topo (1971), il primo western surrealista anch’esso molto famoso
ed apprezzato nei circuiti del cinema weird.
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