lunedì 19 gennaio 2015

La notte dei morti viventi (Night of the Living Dead, 1968) di George A. Romero

In una zona rurale della Pennsylvania un gruppo di persone, tra cui il nero Ben e la bionda Barbara, vengono assaliti da esseri misteriosi, che si muovono lenti, in stato catatonico, e si nutrono di carne umana. Scopriranno che sono morti tornati in vita a causa delle radiazioni emesse da una sonda spaziale sperimentale, che possono essere uccisi solo da un colpo alla testa e che il loro morso diffonde il contagio, causando, in breve, la morte del malcapitato, con successiva “resurrezione”. Barricatisi in una casa colonica, i superstiti cercano in tutti i modi di resistere all’assedio delle creature infernali, che bramano la loro carne. Celebre pellicola d’esordio di Romero, il padre degli zombie cinematografici, che ha costruito la sua carriera, e fortuna, su queste creature letali ed inesorabili, dedite al cannibalismo. Girato in bianco e nero, a basso costo e con mezzi di fortuna, divenne subito un cult nei circuiti underground per i toni macabri e le scene sanguinarie, ma sotto la coltre violenta di questo “b-movie” distopico, ormai divenuto un classico dell’horror, c’è qualcosa di più. Vagamente influenzato dalle suggestioni apocalittiche di “Io sono leggenda” di Richard Matheson, a cui il regista si è sicuramente ispirato per l’idea iniziale, è una parabola crudele, ed eversiva, sul degrado della società americana e sui “mostri” generati dal comportamento aberrante della razza umana, che opera come un virus (depreda, distrugge e poi migra) rispetto all’ambiente in cui abita. Pervaso dal nichilismo tipico dell’autore, questo film angosciante, che più che spaventare inquieta, vuol essere una metafora in chiave fantastica del disagio degli Stati Uniti nei difficili anni del Vietnam, in cui, esaurita l’innocenza vitalistica degli anni ’50, si cominciò a capire che  il sogno americano poteva anche essere un incubo. Chi ci ha visto una critica pessimistica dell’istituzione familiare, chi della guerra fredda, con relativo senso di insicurezza dei confini, chi un’evocazione del razzismo, ancora lungi dall’essere estirpato dalla mentalità quotidiana, e chi, ancora, un simbolo sanguinoso di quella guerra a quel tempo in corso nel sud est asiatico, onta perenne e peccato “originale” di una nazione. Quello che è certo è che l’influenza dell’opera sul cinema horror, e non solo, è stata enorme (probabilmente superiore ai suoi stessi meriti) ed essa ha dato vita a ben cinque seguiti “ufficiali” (tutti firmati da Romero), due remake ed un gran numero di cloni ed imitazioni (come il famoso, e ben più cruento, Zombi 2 del nostro Lucio Fulci). Capostipite “maledetto” di una saga a volte di bassa lega, a parte i primi due episodi, appartiene alla schiera di quei film anti-hollywoodiani, seminali e ribelli, che hanno profondamente segnato l’immaginario giovanile negli anni ’60 e ’70.

Voto:
voto: 4/5

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