In una zona rurale della Pennsylvania un
gruppo di persone, tra cui il nero Ben e la bionda Barbara, vengono assaliti da
esseri misteriosi, che si muovono lenti, in stato catatonico, e si nutrono di
carne umana. Scopriranno che sono morti tornati in vita a causa delle
radiazioni emesse da una sonda spaziale sperimentale, che possono essere uccisi
solo da un colpo alla testa e che il loro morso diffonde il contagio, causando,
in breve, la morte del malcapitato, con successiva “resurrezione”. Barricatisi
in una casa colonica, i superstiti cercano in tutti i modi di resistere
all’assedio delle creature infernali, che bramano la loro carne. Celebre
pellicola d’esordio di Romero, il padre degli zombie cinematografici, che ha
costruito la sua carriera, e fortuna, su queste creature letali ed inesorabili,
dedite al cannibalismo. Girato in bianco e nero, a basso costo e con mezzi di
fortuna, divenne subito un cult nei circuiti underground per i toni macabri e
le scene sanguinarie, ma sotto la coltre violenta di questo “b-movie” distopico,
ormai divenuto un classico dell’horror, c’è qualcosa di più. Vagamente
influenzato dalle suggestioni apocalittiche di “Io sono leggenda” di Richard
Matheson, a cui il regista si è sicuramente ispirato per l’idea iniziale, è una
parabola crudele, ed eversiva, sul degrado della società americana e sui
“mostri” generati dal comportamento aberrante della razza umana, che opera come
un virus (depreda, distrugge e poi migra) rispetto all’ambiente in cui abita.
Pervaso dal nichilismo tipico dell’autore, questo film angosciante, che più che
spaventare inquieta, vuol essere una metafora in chiave fantastica del disagio
degli Stati Uniti nei difficili anni del Vietnam, in cui, esaurita l’innocenza
vitalistica degli anni ’50, si cominciò a capire che il sogno americano poteva anche essere un
incubo. Chi ci ha visto una critica pessimistica dell’istituzione familiare,
chi della guerra fredda, con relativo senso di insicurezza dei confini, chi
un’evocazione del razzismo, ancora lungi dall’essere estirpato dalla mentalità quotidiana,
e chi, ancora, un simbolo sanguinoso di quella guerra a quel tempo in corso nel
sud est asiatico, onta perenne e peccato “originale” di una nazione. Quello che
è certo è che l’influenza dell’opera sul cinema horror, e non solo, è stata
enorme (probabilmente superiore ai suoi stessi meriti) ed essa ha dato vita a
ben cinque seguiti “ufficiali” (tutti firmati da Romero), due remake ed un gran
numero di cloni ed imitazioni (come il famoso, e ben più cruento, Zombi 2 del nostro Lucio Fulci).
Capostipite “maledetto” di una saga a volte di bassa lega, a parte i primi due
episodi, appartiene alla schiera di quei film anti-hollywoodiani, seminali e
ribelli, che hanno profondamente segnato l’immaginario giovanile negli anni ’60
e ’70.
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