martedì 27 gennaio 2015

Il Gattopardo (Il Gattopardo, 1963) di Luchino Visconti

Dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia nel 1860, il principe Fabrizio Salina assiste, preoccupato, ai cambiamenti storici imminenti che porteranno alla fine di un’epoca: la sconfitta dei Borboni, l’unificazione d’Italia, il tramonto della sua casta di aristocratici feudatari e l’avvento di un nuovo potere politico di stampo borghese. Abbracciando il vecchio motto “affinché niente cambi, bisogna che tutto cambi”, Salina cerca di salvare il salvabile, aspettando l’entrata dei garibaldini a Palermo e puntando sul giovane nipote Tancredi Falconeri, facendolo sposare con la bellissima figlia di un sindaco rampante, ricco e ignorante, simbolo vivente del nuovo che avanza inesorabile. Durante un ballo epocale vengono ufficializzate le nozze di Tancredi, segnando così il passaggio storico dal latifondismo nobiliare alla borghesia mercantile e l’ingresso in una nuova età storica. Dal celebre romanzo omonimo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Visconti ha tratto un adattamento colossale, imponente, prezioso, di rigorosa ricostruzione storico ambientale e di finissima introspezione psicologica dei personaggi, da cui si evince un’analisi critica, lucida e minuziosa, degli eventi che portarono all’unità nazionale e alla fine del regno dei “gattopardi” (i nobili proprietari terrieri siciliani). Come sempre in Visconti, ma in questo film in particolar modo, la cura maniacale dei dettagli, degli arredi, dei decori e degli orpelli diventa esuberanza espressiva, bellezza formale, ricchezza visiva, che, nel suo tripudio stilistico, si pone in contrasto con la nostalgia del tempo perduto, il malinconico tramonto di un’epoca, lo struggimento romantico e il decadentismo della morte, intesa non solo in senso personale ma storico, ovvero, letteralmente, fine di un mondo. La messa in scena del maestro milanese è solenne, realistica, sontuosa, e diventa una fulgida cornice per un affresco incredibilmente dettagliato dal punto di vista storico, sociale, politico, antropologico. La trasposizione viscontiana è sì malinconica ma precisa, puntigliosa, straordinaria nel presentarci le motivazioni delle varie parti in gioco, opponendo gli ideali reazionari a quelli riformisti o, addirittura, rivoluzionari in un unico superbo crogiolo narrativo. La sua azione sopraffina è quella di un meticoloso restauratore, che riporta in vita il passato restituendogli il senso di meraviglia, l’alone nostalgico, la vitalità politica, gli umori appassionati, i fermenti ideologici. La meravigliosa sequenza del ballo, girata nello storico Palazzo Gangi di Palermo, è entrata di diritto nella storia del cinema per la sua ricercata opulenza visiva. Nel cast imponente citiamo Burt Lancaster, Alain Delon, Claudia Cardinale, Paolo Stoppa, Terence Hill, Romolo Valli, Giuliano Gemma e persino un giovane Maurizio Merli, futuro commissario “di ferro” del “poliziottesco” italiano. Fu una delle produzioni più costose della storia del cinema italiano, ebbe un grande successo di pubblico e critica e vinse la Palma d’Oro al Festival di Cannes del 1963.

Voto:
voto: 4,5/5

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